Le guerre della nuova era
Non appena si è avuto il coraggio, costretti dagli eventi, di mettere da
parte gli imbarazzi politico-intellettuali e le reticenze
linguistico-concettuali imposti all’odierna cultura di massa dalla
neo-lingua “politicamente corretta”, è apparso a tutti chiaro che
l’unico termine utile ed appropriato con il quale definire il nuovo
contesto politico-militare apertosi dopo gli attentati dell’11 settembre
era quello – antico e sinistro, evocativo e spaventevole – di “guerra”.
L’azione militare intrapresa dagli Stati Uniti d’America contro
l’Afghanistan, paese colpevole di aver offerto copertura e sostegno al
network terroristico facente capo a Osama bin Laden, è stata appunto una
vera e propria “azione di guerra”: una risposta armata in grande stile
contro un atto di guerra altrettanto eclatante.
Già la fine del Novecento era stata segnata da non pochi conflitti
armati, presentati, ogni volta, con formule tese ad occultarne la vera
natura (politica, diplomatica, tecnico-operativa): come operazioni di
polizia internazionale, come forme di ingerenza umanitaria, come azioni
volte al ristabilimento o al mantenimento della pace, come interventi di
difesa preventiva. Dopo l’11 settembre 2001, però, simili prudenze
lessicali sono apparse fuori luogo. Gli eufemismi del “politicamente
corretto” sono apparsi davvero fuorvianti e senza senso. Senza mezzi
termini il conflitto è tornato al centro della scena pubblica. Guerra,
dunque. Ma – ecco il problema - di che natura, con quali obiettivi,
condotta secondo quali strategie e da quali attori? Cos’è cambiato nel
modo di concepire e fare la guerra? Qual è il rapporto tra guerra e
globalizzazione? Come – soprattutto – si configura oggi il rapporto,
quasi di circolarità, che è sempre esistito tra guerra e politica? E
come, nel contesto odierno, lo sviluppo tecnologico, il passaggio
dall’epoca industriale a quella della conoscenza, ha modificato “l’arte
della guerra”? Quale ruolo essa continua a svolgere nel quadro mutevole
delle relazioni internazionali?
Il dossier che segue (all’interno del quale si segnalano un contributo
originale del celebre storico militare e romanziere svizzero
Jean-Jacques Langendorf e la traduzione italiana di un importante saggio
di Edward N. Luttwak apparso su Foreign Affairs nel 1999 e che
anticipava le evoluzioni tattiche e strategiche della guerra
postmoderna), ambisce a fornire le coordinate di una discussione che non
è solo accademica, ma investe in modo diretto il nostro futuro politico
e le forme che andrà assumendo la convivenza internazionale nell’epoca
globale e post-bipolare.
29 marzo 2002
(da Ideazione 1-2002, gennaio-febbraio)
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