Bruxelles può risolvere la questione curda
di Renato Tubére
Nella Turchia assetata di legittimazione da parte della nuova Europa
unita, un’etnia d’origine indoeuropea, erede dell’antica Persia, è
perseguitata da tempo immemorabile dal governo ufficiale: è il popolo
curdo. Il suo torto maggiore? La fierezza nel difendere la propria
identità culturale, trasmessa solo oralmente per secoli di padre in
figlio: fu solo nel Diciassettesimo secolo che proprio un italiano,
Maurizio Garzoni, diede corpo alla prima grammatica curda. I curdi
occupano un territorio vasto quasi il doppio dell’Italia ma irto di
montagne inaccessibili – fra queste il celebre monte Ararat, dove andò
ad incagliarsi dopo il diluvio universale l’arca di Noè – a cavallo fra
Occidente ed Oriente.
La ferma determinazione nel preservare i propri costumi da qualsiasi
commistione è, come già detto prima, all’origine della secolare
persecuzione subita dalla Turchia, assolutamente intransigente contro
ogni forma di autonomia all’interno del suo territorio. A darcene una
prova tangibile è oggi la vicenda di Leyla Zana, parlamentare eletta
democraticamente dai curdi, ostile alla guerriglia come forma di lotta
contro il governo centrale e per questo malvista dagli stessi vertici
del Partito democratico curdo. Per aver semplicemente espresso a
giornalisti stranieri il suo dissenso verso l’assurdo isolazionismo cui
il governo di Ankara condanna la sua gente, Leyla è perseguitata dalla
giustizia turca.
L’episodio che la vide incriminata per attentato contro la stabilità
delle istituzioni risale ormai a ben nove anni fa, e a nulla sono
servite le proteste provenienti da ogni parte del mondo: la povera Leyla
continua ad essere imprigionata come una delinquente comune, senza che
sia stato celebrato nei suoi confronti un regolare processo. Amnesty
International è da sempre in prima fila nel denunciare questa ed altre
nefandezze perpetrate verso i curdi, mentre l’Italia si distinse qualche
anno fa solo per l’asilo politico frettolosamente concesso e poi negato
dal governo D’Alema al capo guerriero della resistenza armata, il
marxista Ochalan. A parte le strumentalizzazioni di certa sinistra di
casa nostra, il caso sensibilizzò noi italiani sulle condizioni disumane
di questa sfortunata minoranza etnica. L’orgoglio nazionalistico della
maggioranza turca nei confronti dei curdi si riassume nelle seguenti
parole pronunciate nel 1971 del primo ministro Nihat Erim: "Non
accettiamo altra nazione abitante la Turchia se non quella turca. Tutti
i cittadini che vivono in varie parti dello stato devono essere
soddisfatti di essere turchi!".
Malgrado ciò la Turchia è uno dei firmatari della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo e la sua Costituzione fa vari riferimenti ai
diritti umani e alla libertà di pensiero e di stampa. Da quasi un anno
il governo di Ankara ha chiesto di entrare come membro a pieno diritto
dell’Unione Europea, pur ignorando il severo monito degli stessi
ambienti economici turchi di destinare almeno un quarto del Pil,
attualmente impiegato nella guerra in Kurdistan, come investimento
produttivo nelle stesse zone: se questo avvenisse, dicono, la questione
curda sarebbe già risolta da tempo. Oggi i curdi sono almeno venti
milioni, la metà dei quali vivono in Turchia, mentre il resto si divide
nelle nazioni limitrofe (Iran, Iraq, Siria, Georgia ed Israele) o si
rifugia nei paesi più industrializzati d’Europa, come l’Italia. A questo
popolo l’Europa può dare un aiuto decisivo, condizionando l’ingresso
della Turchia nell’Ue all’elementare rispetto dei diritti dei popoli.
1 febbraio 2002
renatotubere@email.it
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