“Se gli Usa vinceranno, avranno più alleati di prima”
intervista con Lucio Caracciolo di Paolo Mossetti


“Lunga e difficile”. Così George Bush aveva definito la guerra contro il terrorismo che gli Stati Uniti stavano per intraprendere dopo l’11 settembre. Poi è giunto l’attacco all’Afghanistan dei talebani. Una guerra che è durata poche settimane e che ha portato all’annientamento di un regime medievale e all’insediamento di un nuovo governo a Kabul. Ma, evidentemente, la sfida non si chiude qui. Ne abbiamo parlato con Lucio Caracciolo, direttore del bimestrale Limes, rivista di geopolitica.

Conclusosi il conflitto in Afghanistan – forse solo la prima fase della guerra al terrorismo – bisogna riconoscere che le posizioni pacifiste di quanti chiedevano un’operazione di semplice polizia internazionale erano vaghe e impraticabili come risposta all’11 settembre.

Erano effettivamente proposte vaghe e irrealizzabili. E’ chiaro che la sfida dei terroristi ci impone di rivedere tutti i nostri parametri analitici e strategici. Non possiamo sperare di stroncare i terroristi in una guerra convenzionale. Ma immaginare di venirne a capo senza l’impiego della forza militare è irrealistico. Occorre miscelare diversi elementi, dall’intelligence alla disinformazione e soprattutto all’infiltrazione delle reti avversarie. Usando la forza militare solo quando necessario per facilitare le azioni sopra descritte. Ma è chiaro che non possiamo mandare la polizia giudiziaria da bin Laden con un mandato di cattura. In ultima analisi, la guerra la vinciamo se tiene il fronte interno occidentale. Se cioè le nostre società non si fanno sopraffare dal panico e si chiudono a riccio.

Da più parti è stato invocato anche l’intervento dell’Onu come arbitro supremo per la risoluzione della controversia internazionale. Ma negli ultimi dieci anni non è che le Nazioni Unite abbiano fatto ottime figure…

L’Onu è una foglia di fico. Può essere utile quando le maggiori potenze (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza: Francia, Gran Bretagna, Russia, Usa e Cina) si mettono d’accordo per attivarlo perché ciò conviene ai loro interessi. L’Onu mette la faccia quando le potenze preferiscono nasconderla. Altrimenti serve a se stesso, il che non è poco vista la vastità della sua burocrazia.

Uno dei prossimi obbiettivi dell'offensiva potrebbe essere Saddam Hussein. Molti, come nel 1991, dicono: quando faceva comodo agli Usa era un fedele alleato, quando minaccia le riserve petrolifere un pericoloso nemico…

Saddam come è noto è stato a lungo supportato dagli americani, ma l'aggressione al Kuwait ruppe ogni possibilità di cooperazione. Da allora Saddam resiste soprattutto perché gli americani non sanno con chi sostituirlo.

Si può sostenere che, dalla fine dell’Urss, l’attenzione degli Usa (e quindi della Cia) in campo internazionale si è spostata dai paesi filo-sovietici ai paesi chiave in campo petrolifero?

Bush sembra aver rinunciato a spazzar via la Russia (come voleva almeno parte dell’amministrazione Clinton), anzi vorrebbe utilizzarla nella guerra al terrorismo che si gioca soprattutto nei paesi islamici e produttori di petrolio. Di qui, anche, la nuova intesa Usa-Russia, che non ha precedenti dal 1945. E’ chiaro che la garanzia dei rifornimenti energetici è in cima alle priorità americane e che gli Usa vogliono essere meno dipendenti dal Medio Oriente per il petrolio.

Ritorniamo ai talebani: è corretto dire, come fanno molti commentatori, che si erano insediati a Kabul grazie agli Usa?

Gli Usa a un certo punto hanno sostenuto i talebani, ma la loro vittoria è dovuta soprattutto al fatto che gli afgani non ne potevano più dei mujahiddin che avevano preso il potere dopo la cacciata dei russi e che continuavano a devastare il paese. Probabilmente la fine dei talebani non significherà la fine della guerra civile permanente che dura da 23 anni.

Altri osservatori sostengono che la guerra abbia moltiplicato i nemici dell'Occidente. Ora che i talebani sono stati sconfitti, e che bin Laden è in fuga, è corretta questa analisi? Anche in prospettiva di un eventuale ampliamento del conflitto?

Può essere che in questo momento l’Occidente abbia più nemici di tre mesi fa. Ma non era possibile non rispondere all’11 settembre. E se bin Laden fosse stato in altro paese, gli Usa avrebbero attaccato quel paese. Se gli Usa vinceranno, avranno più alleati di prima.

Certo l’azione militare deve essere coadiuvata da azioni politiche ed economiche. Ma basta chiudere i conti di bin Laden in Svizzera, e favorire lo sviluppo del Terzo Mondo grazie alla Tobin Tax, per pensare di essere al sicuro?

Non c’è alcun rapporto diretto tra terrorismo e sottosviluppo. Se ci fosse, siccome il sottosviluppo non è seriamente riducibile nel medio termine, dovremmo solo incrociare le dita. Certo che bin Laden e associati cercano di evocare questa correlazione per legittimarsi. Ma la povertà del Sud dipende soprattutto dal Sud e dai suoi rapaci leader.

25 gennaio 2002

gmosse@tin.it

 



 



 

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