Parlamento europeo, la fine del
consociativismo
di Domenico Mennitti
Non è stato un passaggio ordinario quello di martedì scorso a
Strasburgo, dove il Parlamento Europeo ha scelto Patrick Cox, un
liberale irlandese espressione di un piccolo paese e di un
altrettanto piccolo gruppo, come presidente dell'assemblea per la
seconda metà della legislatura. In realtà si sono celebrate, senza
drammatizzazione, la fine del consociativismo e la presa d'atto
dei progressi compiuti dal bipolarismo, la cui naturale
conseguenza è la corretta interpretazione della democrazia del
conflitto, secondo la quale chi ha più consenso elettorale ha il
dovere di assumersi il compito di governare. Qui si è trattato,
ovviamente, del governo del Parlamento e perciò dell'attribuzione
delle cariche direttive dell'assemblea. La tradizione era di segno
contrario, nel senso che sinora la massima carica assembleare era
stata sempre appannaggio dei due grandi gruppi, il socialista ed
il popolare. Essendo la gestione del Parlamento divisa in due
fasi, ognuna delle quali ha la durata di due anni e mezzo, i due
gruppi citati si alternavano nell'assunzione della carica nello
spirito di un radicato rapporto consociativo.
I cambiamenti politici, che fanno oggi del centro una forza
alternativa alla sinistra, hanno indotto il coraggioso presidente
del gruppo parlamentare del partito popolare ad assumere una
iniziativa coerente anche sul piano istituzionale. E' stato
personalmente Poettering, infatti, ad operare per dar vita ad una
larga intesa fra le forze di centro-destra presenti nel
Parlamento, in virtù della quale ha potuto escludere il gruppo
socialista dalla presidenza per tutti e cinque gli anni delle
legislatura. Dopo la popolare Fontaine il liberale Cox, entrambi
sostenuti dalla stessa omogenea maggioranza politica. L'operazione
non è stata facile e si è sviluppata infatti con qualche
incertezza nelle prime due votazioni; alla terza però si è
definita e Cox è stato eletto conseguendo la maggioranza assoluta
richiesta.
E' rilevante il dato politico perché ha interrotto la lunga
tradizione consociativa, ma merita d'essere segnalato lo stile con
cui la parte perdente ha preso atto della svolta determinatasi. Il
candidato indicato dal gruppo socialista, David Martin, ha
civilmente riconosciuto la sconfitta ed ha accettato di far parte
del nutrito gruppo dei vice-presidenti, offrendo leale
collaborazione istituzionale all'avversario. Un atteggiamento che
dovrebbe far riflettere soprattutto la sinistra italiana, che si
ostina a non rispettare mai la volontà degli elettori per cui,
appena appreso il responso delle urne, si mobilita per
capovolgerlo con mille espedienti.
Vale sottolineare che la coalizione dell'Ulivo, che in Italia si
proclama alfiere dell'Europa, lasciando ad intendere di essere
sostenitrice di una precisa strategia politica e programmatica, a
Strasburgo si è letteralmente "sfarinata", nel senso che non è
riuscita a riconoscersi in una tesi ed in un protagonista,
prendendo strade e sostenendo candidati diversi. Si discute - ed è
opportuno che si approfondiscano bene tutti gli aspetti delle
delicata questione - su quale Europa costruire: si afferma la
preoccupazione che la sinistra italiana pensi alla torre di
Babele, supponendo persino che sia una invenzione propria.
18 gennaio 2002
dmennitti@hotmail.com
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