Bush e Putin, attrazione fatale?
di Federico Vasoli

E' accaduto tutto nello spazio di due giorni. George W. Bush ha annunciato una drastica riduzione dell'armamento nucleare Usa. Vladimir Putin, ex uomo forte del Kgb, sguardo glaciale, erede della Russia disastrata dopo la presidenza Eltsin, ha rincarato la dose, dichiarando che il suo pese è pronto a tagliare di due terzi il proprio arsenale atomico. Non solo: il capo del Cremlino ha detto che il presidente americano è "benvenuto in qualunque momento in Russia". Poi i due hanno passato del tempo insieme nel ranch di Crawford, nel Texas così caro al presidente Bush. Chissà come l'avrà presa George Bush senior. Probabilmente, nel 1988, Putin sarebbe stato ben felice di tendergli un agguato in stile 007. Oggi, invece, i sorrisi e le intese tra Mosca e Washington si sprecano. Certo, la Russia è oggi il fantasma della superpotenza che fu e i suoi armamenti nucleari risalgono agli anni '60. La sciagura del sottomarino Kursk è stata una tristissima dimostrazione della pessima situazione in cui versa l'ex gloriosa Armata Rossa. La Russia è allo sbando e ha un disperato bisogno di sostegno (leggi dollari, o, alla peggio, euro) da parte di chi questo sostegno lo può fornire: gli Stati Uniti d'America. La mafia regna sovrana e fa soldi in quantità, mentre una vasta parte della popolazione se la passa piuttosto male e vede con terrore l'ennesimo inverno che si avvicina. Mosca, dunque, non ha nulla da perdere e, anzi, tutto da guadagnare dal proprio appoggio politico e militare all'Occidente contro il terrorismo.

Con il bel gesto apprezzato da tutta la comunità internazionale di ridurre l'arsenale nucleare, la Russia si sbarazza di obsolete armi da rottamazione che potrebbero finire nelle mani della mafia, o di qualche dittatorucolo del terzo mondo, o, peggio, di qualche fondamentalista islamico. Pertanto, lo smantellamento va a favore sia degli Usa, sia della Russia stessa. Inoltre, il caso vuole che, dopo aver prontamente messo a disposizione tutte (tutte, non otto Tornado) le proprie truppe, Mosca abbia compiuto pesanti attacchi militari contro i ribelli ceceni, i quali, peraltro, sono in maggioranza musulmani. A Putin sta a cuore una vittoria in Cecenia. E gli starebbe a cuore anche una sorta di rivincita contro l'Afghanistan, naturalmente. Ma la partita più interessante si gioca, come sempre, sul piano economico. E' risaputo, infatti, che lo sterminato territorio russo abbonda di risorse naturali. Ebbene, in Siberia, i pozzi di petrolio e i giacimenti di gas naturali si contano a bizzeffe e sono nelle mani della potentissima lobby dei "signori del petrolio", appunto, i quali sono stati tra i grandi elettori di Vladimir Putin nelle ultime elezioni presidenziali.

Ora, se la situazione in medioriente dovesse compromettersi ulteriormente, per esempio attraverso un allargamento del fronte contro l'Irak - il che metterebbe a repentaglio le esportazioni del Kuwait - o un atteggiamento ostile da parte di Arabia Saudita e Qatar, dove ha sede al Jazeera - un fiume di importazioni e investimenti americani e, di riflesso, occidentali, si sposterebbe verso la Russia, a patto, ovviamente, che il suo uomo di ghiaccio dia un concreto e duraturo appoggio agli Stati Uniti contro il crimine internazionale e il terrorismo. Potrebbe essere la grande occasione personale di Putin, ma anche di un'intera, orgogliosa nazione che non può più vivere allo sbando.

23 novembre 2001

federico_vasoli@hotmail.com



 

stampa l'articolo