La sfida delle donne ritrovate
di Barbara Mennitti


Sabato 17 novembre gli americani sintonizzati sulle frequenze della radio nazionale per il tradizionale discorso del presidente avranno pensato per un momento di avere sbagliato emittente. Perché, per la prima volta nella storia, dagli apparecchi radio non si è diffusa la voce roca da texano di George W. Bush, ma una squillante voce femminile. "Good morning. I'm Laura Bush". La first lady repubblicana ha utilizzato il tradizionale mezzo di comunicazione presidenziale per richiamare l'attenzione degli americani sulla terribile sorte delle donne afgane, che molti stanno scoprendo solo oggi. "Pronuncio il discorso radiofonico di questa settimana per promuovere uno sforzo globale contro le atrocità perpetrate contro donne e bambini in Afghanistan dalla rete terroristica Al-Qaeda e dal regime talebano che lo sostiene". La repressione perpetrata nei confronti delle donne in Afghanistan, ha continuato Laura Bush, non si conforma alla condizione femminile nel resto del mondo islamico. Non si tratta quindi di imporre una cultura specifica, ma di accettare un senso d'umanità condiviso da tutte le persone di buona volontà di ogni continente. "La lotta contro il terrorismo - ha concluso la first lady - è anche una lotta per i diritti e la dignità delle donne". Il discorso integrale lo potete trovare nell’articolo seguente.

Dall'altra parte dell'oceano le ha fatto eco Cherie Blair che, durante un incontro con una rappresentanza di donne afgane, ha dichiarato: ''Dobbiamo ridar loro voce in modo che possano far nascere quell'Afghanistan migliore, che tutti vogliamo vedere". Le due first ladies hanno dato visibilità planetaria ad un forte e crescente movimento d'opinione, perfettamente trasversale, che in Italia ha il suo esponente e sprone più attivo in Emma Bonino, che da anni (molti più anni di tutti gli altri) denuncia le violenze del regime degli studenti di teologia. Il gruppo di donne ma non solo, coagulatosi intorno alle iniziative della leader radicale e che ha ricevuto il plauso del presidente del Parlamento europeo Nicole Fontaine, non si limita soltanto a richiamare genericamente l'attenzione sulle disperate condizioni delle donne sotto il regime talebano (questo i radicali lo fanno dal 1996), ma avanza una proposta concreta: far sedere le donne al tavolo dei negoziati per la costituzione del nuovo governo provvisorio afgano. Per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema i radicali hanno indetto un grande Satyagraha mondiale che sta ricevendo talmente tante adesioni da politici, personalità e cittadini, che è stato necessario posporlo di una settimana (al primo dicembre) per dare la possibiltà di estenderlo anche ai paesi extra europei. In queste ultime ore anche il segretario di stato americano Colin Powell ha affermato che le donne dovranno avere un ruolo negli assetti di potere di qualsiasi nuova coalizione di governo afgano.

Forti forse di tanto sostegno internazionale, dopo troppi anni di latitanza, nei giorni scorsi, dopo cinque anni di invisibilità, duecento donne sono scese a manifestare in piazza a Kabul. Finalmente senza burqa, con gonne e foulard colorati. Finalmente con le loro facce, insegnanti, medici e professionisti fino a ieri fantasmi hanno chiesto al governo di garantire ai loro figli l'educazione e a loro di lavorare e vivere in pace. "Abbiamo bisogno di una voce, tutto qui", ha dichiarato Soraya Parlika, promotrice dell'iniziativa ed ex responsabile della Croce Rossa afgana. E il mondo si sta schierando al loro fianco.

23 novembre 2001

bamennitti@ideazione.com





 

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