Chi vincerà la guerra dell'informazione?
di Paolo Zanetto
Nei giorni dopo l’11 settembre le immagini degli aerei che si
schiantano contro le Twin Towers si ripetevano all’infinito. La
percezione della tragedia era chiarissima, ground zero era il
simbolo della distruzione, del terrorismo, del male. Il mondo si è
unito in pochi giorni contro la barbarie di bin Laden. Usa e Gran
Bretagna hanno iniziato i bombardamenti sull’Afghanistan. Le Tv
mondiali, senza immagini live, mostravano il giorno dopo i
convincenti risultati dei bombardamenti. Gli aerei gettavano aiuti
umanitari al popolo afgano, la civiltà stava vincendo contro il
terrorismo. Tutto questo accadeva solo un mese fa. In un mese la
percezione è cambiata notevolmente. I network americani hanno un
palinsesto tipo TeleAntrace, con una copertura 24 ore al giorno
dell’incubo dell’americano medio, che probabilmente non è nemmeno
imputabile ai talebani o a Osama. Le incursioni aeree
sull’Afghanistan non sono più tanto efficaci. I telegiornali
americani riprendono le immagini dei feriti afgani trasmesse da al
Jazeera, e il pubblico per qualche istante si dimentica chi è la
vittima e chi il carnefice.
L’amministrazione Bush ha fatto della confidenzialità
un’ossessione, con risultati a volte discutibili. Nonostante le
richieste dei paesi arabi, alla ricerca di prove della
colpevolezza di bin Laden da mostrare alla loro scettica opinione
pubblica, gli Usa non hanno fornito i loro elementi. Il Pentagono
ha fatto calare il silenzio stampa su tutto il personale militare
americano, rendendo difficile il lavoro dei cronisti. Le
conferenze stampa di briefing sono povere di informazioni, e
contengono solo qualche battuta ad effetto di Rumsfeld e soci da
mostrare nei telegiornali della sera. Gli editorialisti dei
quotidiani fanno paragoni con i “bei tempi” della guerra nel
Vietnam, quando ai giornalisti accreditati era consentito
praticamente tutto, compreso salire sugli elicotteri da guerra
insieme ai soldati durante le missioni. Le conseguenze sono
spiacevoli: in mancanza di commenti fatti dai protagonisti
americani, Tv e giornali sono costretti a riportare le cronache di
altre fonti, più o meno affidabili. Anche se i network non
mostrano più le videocassette di bin Laden, i giornalisti a caccia
di scoop si lasciano prendere dalla tentazione e riportano come
autentiche persino le notizie fornite direttamente dalla
propaganda talebana.
Intanto i media arabi, relegando in secondo piano l’allarme
antrace, si concentrano sui problemi del Medio Oriente. La
propaganda Usa qui non funziona: migliaia di parole degli opinion
leader americani non possono competere con le immagini dei bambini
afgani feriti o dei carri armati israeliani che irrompono nei
villaggi della Palestina. Al Jazeera è ben lieta di fare la Cnn
del mondo arabo, trasmettendo queste immagini a ciclo continuo. La
preoccupazione del pubblico islamico non è tanto su bin Laden e i
talebani, quanto sui rapporti Israele-Palestina. E’ grande il
pregiudizio contro gli yankee: ecco perché il loro messaggio non
riesce a far presa. Un popolo di mangiatori di hamburger, tutti
ciecamente filo-israeliani, tutti contro i palestinesi, contro
l’Islam, senza nemmeno rispetto per il Ramadan. E’ difficile
uscire da un cliché: Bush lo ha capito, e ha preparato un piano
per conquistare “i cuori e le anime” del mondo arabo. Già dalla
scorsa settimana le figure di primo piano dell’amministrazione
Usa, tra cui il segretario di Stato Colin Powell e il segretario
alla Difesa Rumsfeld, hanno rilasciato interviste e dichiarazioni
su al Jazeera e su altre Tv arabe. Anche il presidente prenderà la
parola, per chiarire il suo messaggio: gli Stati Uniti sono al
fianco del popolo islamico contro i terroristi, che non rispettano
la legge del Corano. Bush parlerà al mondo dall’assemblea generale
delle Nazioni Unite, un simbolo di pace e di garanzia per tanti
paesi, attaccato duramente - nei suoi messaggi registrati - da bin
Laden.
Con l’inverno alle porte e il Ramadan ormai iniziato, i paesi
islamici hanno iniziato a protestare contro il proseguimento dei
bombardamenti durante novembre, il mese più sacro secondo il
Corano. In tutti i conflitti vincere la guerra dell’informazione è
un elemento fondamentale della strategia militare. Forse ai
generali sembra poco importante, presi come sono a stanare il
nemico Osama. Ma i politici e i diplomatici, a cominciare da Colin
Powell, sanno bene che l’astio del pubblico arabo sarebbe un
ostacolo ben più duro per le truppe americane del rigido inverno
di Kabul.
9 novembre
2001
zanetto@tin.it
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