Guerra batteriologica o guerra psicologica?
di Stefano da Empoli


L’attenzione dei leader politici e dei mass media americani si va sempre più focalizzando sul possibile collegamento tra le lettere all’antrace e gli attacchi terroristici dell’11 settembre. Richard Spertzel, esperto di bioterrorismo, afferma letteralmente che solo cinque persone negli interi Stati Uniti e quattro stati (Usa, Gran Bretagna, Russia e Irak) sono in grado di lavorare sulle spore dell’antrace giungendo a risultati di tale raffinatezza. Dalle sue parole, traspare netta l’opinione che il collegamento ci sia, via Baghdad. Gli organi d’informazione più schierati a destra, come il Wall Street Journal e il Weekly Standard, hanno dato grande evidenza alla pista di Praga. Dove Mohammed Atta, leader del gruppo di dirottatori suicidi, incontrò almeno in due circostanze diverse un diplomatico iracheno, successivamente espulso dal paese ceco per attività non proprio protocollari.

Se il duplice nesso, Irak-bin Laden e attacchi suicidi-antrace, trovasse una conferma nelle indagini, che cosa ci direbbe sulla strategia terroristica?. Perché far seguire un’azione da terrorismo all’ingrosso, come quella dell’11 settembre, da uno sciame terroristico al dettaglio, come quello delle lettere all’antrace? L’ipotesi più preoccupante è che si stiano facendo le prove per un’azione più macroscopica. Dal momento che raffinare grandi quantitativi di antrace costa e il percorso dal laboratorio alla piazza o alla metropolitana richiede tempi logistici abbastanza lunghi, meglio assicurarsi che tutto funzioni per il meglio in vista del grande colpo. Quadro suggestivo e inquietante ma poco realistico. In Irak o in Afghanistan non mancano cavie umane, come la storia ha tragicamente dimostrato. E poi negli Stati Uniti si è creato un clima di allerta che diminuirà l’impatto di qualsiasi attacco futuro e la stessa probabilità che possa aver luogo. Sarebbe stato come se, prima dell’11 settembre, i terroristi si fossero impossessati di un aereo per scaraventarlo su una villetta. Un utile allenamento ma allo stesso tempo un buon suggerimento anche alla meno fantasiosa autorità di polizia del mondo (e certo è che la fantasia non abbonda di questi tempi nella burocrazia pubblica americana).

Piuttosto, sempre che il collegamento esista, potrebbe essere una delle svariate azioni previste per incrinare quello che i terroristi ritengono l’unico motivo di presunta superiorità del mondo occidentale, capitanato dagli Stati Uniti, su quello islamico, cioè la maggiore prosperità economica. Tanto più ingiusta quanto maggiore è ai loro occhi la purezza e il coraggio che si può riscontrare nella civiltà islamica, almeno in quella contrabbandata nelle caverne afgane. In fondo se i terroristi avessero veramente voluto massimizzare i morti dell’11 settembre, non avrebbero lasciato passare venti preziosi minuti tra i due impatti sulle Torri Gemelle. Erano quindi più interessati allo shock televisivo che a riempire ulteriormente le pagine dei necrologi. Allo stesso modo, l’antrace non sarebbe utile ai loro scopi tanto per i danni fisici quanto per quelli psicologici (ancora una volta l’effetto shock) e quelli economici. I danni fisici sarebbero solo uno strumento per innescare gli altri due, non un fine in sé. Del resto, la morte ha per i fondamentalisti islamici una rilevanza del tutto diversa. Invece di spezzare delle vite umane, può creare degli eroi. Perché nobilitare delle vite occidentali senza motivo? Perchè puntare a milioni di morti quando l’effetto voluto lo si ottiene con poche migliaia, come nel caso delle Torri Gemelle e del Pentagono, o con solo poche unità, come nel caso dell’antrace? L’importante piuttosto è che l’azione sia sostenuta e che la psicosi abbia un impatto economico.

In questa strategia maggiori spese per la sicurezza per decine di miliardi di dollari e una possibile interruzione delle attività economiche (intorno alla posta ruotano affari per 900 miliardi di dollari l’anno solo negli States) sono i danni che contano. Insieme a opportune speculazioni di borsa e soprattutto all’arma più potente in mano ai paesi arabi, il petrolio, potrebbero determinare un riequilibrio di mezzi tra le civiltà, più coerente con i criteri di giustizia versione bin Laden e soci. I quali forse stanno facendo un pensierino sul fatto che poche esplosioni bastano a mettere fuori gioco per due anni l’intero output petrolifero dell’Arabia Saudita, primo paese produttore di greggio. Oppure, evento più difficile ma anche più risolutivo, alla defenestrazione del clan saudita al potere nella penisola araba. Di cui interessano non tanto le città sante ma soprattutto il deserto e quello che c’è sotto. Forse non casualmente Bush sta cercando di stringere i tempi sul suo pacchetto energetico, che prevede il contestato utilizzo degli enormi giacimenti di greggio in Alaska. Non sappiamo se questo scenario da Spectre (motivato più dalla rivalsa di chi si sente ingiustamente umiliato dalla storia che dall’arricchimento personale) sia vero. Di certo è che, se ad animarlo sono Osama bin Laden e Saddam Hussein, non ci sono limiti alla fantasia più perversa.

26 ottobre 2001

stefanodaempoli@yahoo.com


 

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