Con chi sta davvero l’Onu?
di Barbara Mennitti
Diciamocelo con franchezza: è vero che da qualche anno a questa
parte, l’assegnazione dei premi Nobel, soprattutto di quelli non
strettamente legati alle attività scientifiche, viene attesa con
meno partecipazione di quella dei David di Donatello, ma quando
abbiamo sentito che il Nobel per la pace era stato conferito
all’Onu, non siamo riusciti a trattenere una smorfia. A parte il
fatto che assegnare un premio del genere ad un’organizzazione nata
con lo scopo dichiarato di mantenere la pace nel mondo è come
assegnare il premio del miglior cattolico dell’anno al Papa, ci
sfuggivano, e tuttora ci sfuggono, i motivi di tale riconoscimento
proprio in questo momento. Ma come, ci siamo chiesti, proprio ora,
dopo l’ignobile pagliacciata della conferenza sul razzismo di
Durban, dopo che le figuracce di Pino Arlacchi e della sua folle
“guerra alla droga” che ha riccamente foraggiato il governo
talebano in Afghanistan, hanno raggiunto ormai una notorietà
planetaria… proprio ora glielo danno?
E giusto in questi giorni arriva dall’Inghilterra un’altra notizia
che infligge l’ennesimo colpo alla già traballante reputazione
dell’organizzazione che qualcuno invoca addirittura come governo
mondiale. Notizia che, bisogna dirlo, ha avuto ben poca eco sulla
stampa italiana, se si fa eccezione per i quotidiani Libero e Il
Foglio. Ecco il fattaccio: un’indagine della Bbc ha rivelato che
l’Onu avrebbe finanziato una fondaziona benefica, la Muwafak
Foundation con sede nell’allegro e democratico Sudan, che arriva
dritta dritta all’organizzazione di Osama bin Laden. La fondazione
in questione è tra quelle recentemente “congelate” dal ministero
del Tesoro statunitense, accusata come molte altre di non essere
altro che una copertura per far arrivare capitali da importanti
uomini d’affari sauditi ad Al Qaida. Certo è, però, che una cosa
sono i miliardari sauditi, un’altra le Nazioni Unite. Il
finanziamento in questione risale non a venti anni fa, ma al 1997
e ammonta a 1,4 milioni di dollari, l’equivalente di tre miliardi
di lire. E’ bene a questo punto ricordare ai distratti che il
denaro che l’Onu elargisce con cotanto discernimento, non proviene
dalle tasche di Kofi Annan, ma dai singoli stati membri. Fuor di
metafora: dalle tasche dei cittadini.
Il network inglese, che quando fa le inchieste non si risparmia,
ha raccolto sul merito la testimonianza di Charles Shoebridge,
veterano della lotta al terrorismo, che conferma che non si
tratterebbe di un caso isolato: “Da più di dieci anni sappiamo che
molte organizzazioni umanitarie nascondono in realtà un meccanismo
ben collaudato attraverso il quale i terroristi raccolgono
denaro”.
A questo punto appare lecito chiedersi a che gioco gioca la
neolaureata con il Nobel per la pace Organizzazione delle Nazioni
Unite. Se dietro questa serie di episodi che inizia a diventare un
po’ troppo lunga si deve leggere la preponderanza
nell’organizzazione di realtà integraliste e profondamente
antiamericane (come era apparso con una certa chiarezza a Durban)
o se si tratta di semplice incompetenza di svogliati funzionari
troppo pagati. La risposta noi non la sappiamo, anche se forse
inizia a delinearsi all’orizzonte. Per esempio, nelle
dichiarazioni dell’algerino Lakhdar Brahimi, uomo di fiducia di
Kofi Annan e responsabile unico di tutte le operazioni Onu in
Afghanistan, che riferendosi al dopo talebani spiega che non c’è
ancora nessun progetto di peacekeeping o altro nel paese e se
Stati Uniti e Unione Europea hanno fretta, pazienza: “Non possiamo
mica tirar fuori una soluzione dal cilindro.” In ogni caso non c’è
molto da stare allegri.
26 ottobre
2001
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