L’incognita russa nella nuova alleanza
di Stefano Magni
Nel 1991 una vignetta di Vincino, sul Corriere della Sera,
recitava “Guerra nel Golfo: la Russia ne approfitta per
riprendersi mezzo Est”, riferendosi alla feroce repressione
scatenata da Gorbaciov contro gli indipendentisti lituani,
avvenuta nell’indifferenza di un Occidente impegnato nel Medio
Oriente. Anche dopo il collasso dell’Unione Sovietica, il dogma
“Russia First” era rispettato dalle due amministrazioni Clinton e
tradotto in pratica nella strategia dell’enlargement: la
riconquista alla democrazia e al mercato di tutte le aree che
avevano abbandonato il campo sovietico e che si stavano
distaccando dall’influenza egemonica russa. Tale politica aveva
fondamenti molto solidi: la classe dirigente russa, non solo non
aveva avviato un serio processo riformatore al suo interno, tale
da indurre a credere che avesse seppellito il suo passato
sovietico, ma presentava anche numerosi picchi di revanscismo
imperiale e di maggior chiusura all’interno. Per cui, considerando
che un processo di riforma graduale interno alla Russia, dato
l’enorme potere degli oligarchi post-sovietici, fosse utopistico,
la strategia di enlargement mirava a chiudere la Russia in un
angolo, costringendola a un mutamento radicale o al crollo.
Questa era la strategia esposta più volte dallo stratega
Brzezinski e applicata, sia pur in modo discontinuo e maldestro,
da Clinton. Il progetto dell’estensione delle istituzioni
occidentali (Nato e trattati economici) includeva anche paesi
dell’Asia centrale e caucasici, oltre ai paesi baltici, a tutta
l’Europa centro-orientale e all’Ucraina: un vero e proprio
accerchiamento della Russia, che, a quel punto, avrebbe dovuto
decidere se stare “con noi alle nostre condizioni” o “contro di
noi in condizioni di inferiorità totale”. Il problema
dell’integralismo islamico era considerato secondario e i mezzi
con cui la precedente amministrazione lo combatteva erano
essenzialmente: intelligence e rappresaglie militari rapide e
unilaterali. L’occhio dei politici e degli strateghi americani era
sempre puntato, nel breve-medio periodo, sulla Russia.
Il nuovo presidente Bush, nonostante alcune sue prese di posizione
iniziali, già con l’accordo con Putin sulla revisione del Trattato
ABM (inizio del progetto di scudo stellare), ha dimostrato di
voler cambiare rotta. L’11 settembre sembra avere sepolto
definitivamente la dottrina “Russia First”. L’attenzione
principale è sul radicalismo islamico, per combattere il quale
l’attuale amministrazione Bush sta tentando di creare una solida
collaborazione con la Russia, vista come partner principale. Forse
è troppo presto per tentare di interpretare decisioni di strateghi
americani che agiscono nel silenzio stampa più assoluto, ma le
prime mosse di questa lunga campagna danno adito a questa
interpretazione. Solo il continuo riferimento alla “lunghezza” di
questa futura guerra, sembra una mossa tesa ad attirare la Russia
in un’alleanza costruttiva volta a combattere i regimi islamici.
Una guerra breve, condotta unilateralmente dagli Stati Uniti,
indurrebbe, forse, Mosca a pensare a una svolta americana in
chiave anti-russa immediatamente successiva, venendo a mancare
subito il fattore della comunanza del nemico.
Non ci si chiede mai quali possano essere le conseguenze di questo
rovesciamento delle percezioni americane. La Russia continua a non
essere riformata: è guidata da un veterano del KGB e ha un
parlamento con una forte componente nazional-comunista. I gruppi
di potere economico interni alla Russia sono sempre più forti e la
libertà di espressione è sempre più vincolata dalla censura. Le
tendenze revanchiste sono quelle di due anni fa, di cinque anni
fa, se non più forti. L’unica differenza è che ora tutta
l’opinione pubblica volterà lo sguardo da questa realtà e la
Russia diventerà un alleato riconosciuto, così com’è. Forse, in
cambio di una collaborazione attiva, avrà anche carta bianca in
Cecenia e in Asia centrale. Chi può dire che l’appetito di Mosca
si sazierà nelle steppe asiatiche? Si spera che non si realizzi
l’oscura profezia che circola fra molti dissidenti: “Oggi la
Cecenia. Domani a chi tocca? Ucraina? Repubbliche baltiche?
Europa?”
19 ottobre
2001
stefano.magni@fastwebnet.it
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