Il vuoto pneumatico dell’universo no global
di Paolo Mossetti


“Dieci, cento, mille Vietnam”, diceva Che Guevara, rivolgendosi verso il popolo castrista. Più recentemente, abbiamo tutti visto e ascoltato in televisione un uomo alto e barbuto incitare il popolo islamico alla guerra santa, alla Jihad contro l’Occidente e i musulmani “traditori”. Il richiamo alle masse supera guerre calde e fredde, conflitti etnici e religiosi, rivoluzioni tecnologiche e fondamentaliste, ma non cambia nei suoi contenuti: è l’eterna ambizione di “fare massa”, assai diffusa fra gli integralisti di Allah, ma che trova diverse eco anche in Occidente. Innanzitutto, sappiamo che le bandiere americane non bruciano solo tra le catapecchie di Ramallah, in Cisgiordania, ma pare servano a riscaldare anche le già roventi anime del popolo no-global. Simboli che vanno e che vengono: la sempreverde icona del “Che”, sventolante sulle bandiere rosse in tutto il mondo; i giganteschi buddha di pietra distrutti dai talebani, nell’indifferenza del mondo intero.

“Né con Bush, né con bin Laden”, gridano i pacifisti. Parole già sentite, ma in altre formule. Ricordate il “Né con le Br, né con lo stato”? Cos’era se non la virtuosa maschera di un politicizzazione esasperata, condotta alle estreme degenerazioni verbali? Altro che idealistica e ingenua equidistanza! Se pensiamo ancora oggi che il brigatismo fu sconfitto grazie al rigetto della “società civile”, siamo degli illusi. In realtà, come scrisse Montanelli, fu la sconfitta del terrorismo a provocarne il totale rigetto. La principale preoccupazione del movimento del ’77 non era la lotta al terrorismo, ma alla Repressione con la r maiuscola. Non ci illudiamo nell’appoggio del popolo, di qualunque nazione esso sia. Lo sa bene il generale Musharraf, che da golpista sta arrestando i suoi ministri, perché teme di fare la stessa fine del suo predecessore: richiama il paese all’unità, ma chi lo ha eletto? Ora è nostro alleato, domani chissà. E attenzione: l’ambiguità gioca brutti scherzi alla Causa. Molti oggi non dimenticano il pieno appoggio dato da Arafat a Saddam durante la guerra del Golfo. Il rappresentante dell’Olp in Italia invita alla moderazione, ma viene applaudito dalla platea di Santoro soltanto quando lancia dure accuse contro Bush. Il quale, si sa, prima dell’11 settembre non conosceva i nomi dei capi di stato del Terzo Mondo. Eppure è stato il primo repubblicano a far traballare il rapporto diplomatico fra Usa e Israele. Il “presidente delle lobby” che respinge l’assalto della più potente, quella ebrea ultra-ortodossa. Ricorda in piccolo De Gaulle, padre della patria: l’unico a poterla mutilare. Ma noi occidentali tradizionalisti siamo bravi anche ad accogliere tutte le proposte, anche di critica, che nascono dall’interno della società, dal “basso”. Purché queste proposte siano credibili e, soprattutto in merito al da farsi in questi giorni, non siano ridotte a semplici slogan.

Bin Laden, da fanatico secolarizzato qual è, sa bene che la televisione per noi occidentali è divenuta sì strumento di conoscenza, ma anche di apprensione. Guerre prima dimenticate, come appunto quella dell’Afghanistan, si trasformano in fondamentali passi della geopolitica. Figure di eroi dimenticati, come il solitario generale Massud, non trovano spazio nelle camere da letto dei contestatori, occupate dalle solite immagini di ribellione mercificata. Sulla miseria di milioni di individui oppressi dalla dittatura, che Agnoletto vorrebbe salvare con la Tobin Tax e non con l’intervento armato, i signori del terrore giocano per i propri sporchi interessi. Le masse che ancora si mobilitano in casa nostra sono in realtà molto più colte di quelle pakistane: hanno studiato, dormito, mangiato a sazietà. Probabilmente hanno letto tutte gli stessi libri: sono minoranze figlie del lusso e del benessere. A Islamabad, il 10-15 per cento di musulmani che appoggia l’azione terrorista non sa quello che dice, ma non ha nulla da perdere. Il terrore, talvolta, fa leva su queste persone, sull’ignoranza. Ma non ha mai mantenuto una promessa data al popolo.

12 ottobre 2001

gmosse@tin.it


stampa l'articolo