L’Europa invisibile: il re è sempre più
nudo
di Massimo Lo Cicero
La grande tragedia della seconda guerra mondiale si concluse
grazie ad una inedita alleanza internazionale. Gran Bretagna,
Stati Uniti e Unione Sovietica arginarono le pretese del
nazionalsocialismo e restituirono l’Europa ad un regime di
libertà, ancorché vigilata. Lentamente prosperità e benessere
tornarono nel Vecchio continente: all’ombra del muro che lo
divideva in due. Ma i due draghi, come li chiamava Thomas Mann nel
linguaggio immaginifico delle saghe nordiche, vegliavano sul
futuro del mondo e conservavano, per le future generazioni, il
tesoro dei Nibelunghi. La reazione a September Eleven viene dalla
medesima alleanza: sono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la
Russia il muro che argina la minaccia terroristica e si schiera
sul campo per difendere, ancora una volta, il tesoro della
civilità e consegnarlo alle generazioni future.
Non si tratta, come dicono coloro che non vogliono capire, della
conservazione egemonica della società occidentale. Ma certamente
la parte più fertile e creativa della civiltà occidentale alimenta
questa alleanza che si impegna per difendere la tolleranza e il
reciproco vantaggio dei popoli a crescere nel benessere e nello
scambio. I punti in discussione, tuttavia, non sono solo la
sconfitta delle minacce terroristiche e l’uso della forza per
conseguire questo traguardo di interesse generale. È in
discussione una strategia che lasci aperte per il mondo finestre
importanti di opportunità future, spazi reali di crescita
potenziale e di redistribuzione del benessere. È in discussione un
futuro dove le differenze possano diventare reciproco vantaggio, e
dove lo scambio possa aiutare i deboli a riscattarsi dalla propria
debolezza, valorizzando le proprie forze e non rassegnandosi ad
essere solo il soggetto passivo dell’elemosina dei ricchi o la
mano predatrice, che quei ricchi spoglia in nome di una giustizia
di stampo tribale e vendicativo.
Questo futuro si gioca nel territorio di confluenza geografica di
tre grandi civilità diverse da quella occidentale. Si gioca nel
cuore dell’Asia dove si incontrano le propaggini di tre culture e
di tre popolazioni imponenti. La nazione cinese, la nazione
indiana e quella mussulmana. Il terrorismo non è solo attacco
all’Occidente. Il suo obiettivo politico è la destabilizzazione
interna della nazione musulmana: la sconfitta dei leaders storici
come Arafat o la dinastia saudita, l’obsolescenza dello stesso
Gheddafi in Libia. Il terrorismo vuole spostare l’asse politico
del governo nella nazione musulmana: una grande realtà economica e
sociale che rappresenterà la chiave energetica del mondo ancora
per molti anni. Ma anche una società che consegna i vantaggi
derivanti da quel monopolio ad un ristretto numero di componenti
della propria classe dirigente e lascia nell’indigenza e
nell’ignoranza la gran parte della sua popolazione. Il terrorismo,
e la cultura che lo alimenta, non vogliono spostare quell’asse in
direzione dei deboli ma, piuttosto, fermare la macchina della
crescita ed evitare lo scontro ed il confronto con il futuro.
Chi tace di fronte a questo problema politico è l’Europa che
conferma, in questo modo, la propria inconsistenza come soggetto
storico contemporaneo. Non basta avere creato una moneta e un
nucleo di istituzioni che mettono in relazione i vecchi stati
sovrani: all’appuntamento della Storia l’Europa si scopre senza
identità, senza consapevolezze e senza un linguaggio capace di
farsi intendere dai popoli della terra. Con una evidente scarsità
di valori morali da cui trarre la radice della propria azione
politica quotidiana. La Gran Bretagna reagisce con la risorsa che
non le difetta: essere stata la culla della civiltà degli scambi
ed avere ancora risorse di leadership politica da spendere
nell’interesse della sua identità. La Russia torna sulla scena
internazionale. E insieme agli Stati Uniti queste potenze cercano
- e non sappiamo se e quando questo sforzo comincerà a dare i suoi
frutti - di dare al mondo un futuro migliore del presente che ci
circonda. Aspettiamo che l’Europa batta il suo colpo ma, come
sempre, non è solo questione del “come”: anche il “quando” è
determinante. Mai come in questo caso.
12 ottobre
2001
maloci@tin.it
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