Punto diplomatico. La tenuta dei paesi arabi

Dopo la prima settimana di bombardamenti sull’Afghanistan, la Grande Coalizione contro il terrorismo tiene. Sul piano politico è un risultato molto confortante. Da un lato gli stati europei, tradizionali alleati degli Stati Uniti, hanno rafforzato la loro solidarietà verso Washington fornendo, con il supporto dei voti parlamentari, la massima disponibilità di aiuti anche militari. Dall’altro - ed è il dato principale - i paesi islamici hanno mantenuto fede all’impegno preso, con qualche distinguo ma anche con qualche sorprendente fermezza. E’ il caso del Pakistan, il cui gruppo dirigente era stato lo sponsor dell’ascesa al potere dei talebani in Afghanistan e che oggi resiste alle violente manifestazioni di piazza degli estremisti sulla posizione filo-americana. Da ultimo il governo di Islamabad ha concesso l’utilizzo di due aereoporti alle forze aeronautiche Usa.

Ma l’intero mondo arabo, raccolto in questi giorni in Qatar per la Conferenza dei paesi islamici, non ha criticato la reazione anglo-americana contro i talebani, destinata a sovvertire il regime fondamentalista di Kabul. Anche questo un risultato positivo, soprattutto se si tiene conto che l’Afghanistan è sotto attacco dalla notte di domenica 7 ottobre e che le prime notizie di vittime civili trapelano dal fronte di guerra. La Conferenza ha invece ammonito gli Usa a non estendere i bombardamenti ad un altro paese arabo o musulmano. La preoccupazione dei cosiddetti paesi arabi moderati è di non poter più far fronte alle prevedibili montanti proteste dei propri cittadini una volta che il conflitto dovesse estendersi dall’Afghanistan. Il monito ha un suo valore, dal momento che è noto che l’amministrazione Bush sta raccogliendo prove sulla complicità di apparati statali verso le organizzazioni terroristiche. Prove che, secondo fonti dei servizi segreti occidentali, potrebbero condurre proprio a Baghdad e Damasco: Irak e Siria.

La dichiarazione ufficiale della Conferenza dei paesi islamici ha comunque tradito le speranze dei talebani che, il giorno prima, avevano chiesto ai leader riuniti in Qatar di prendere posizione contro i bombardamenti anglo-americani e di sostenere la guerra santa contro gli infedeli. Così come, sempre dal Qatar, era giunta la presa di distanza di Arafat da Osama bin Laden e dal suo tentativo di strumentalizzare la causa palestinese. Una presa di distanza tanto netta, quanto ambiguo era stato ancora il riferimento allo stato di Israele. Il leader dell’Olp aveva parlato di avversione al terrorismo cieco e aveva accusato poi Israele di praticarlo nei confronti dei palestinesi. Ma gli equilibri diplomatici che devono tenere i dirigenti arabi in queste settimane sono talmente delicati che qualche eccesso a uso interno va messo nel conto.

Il prossimo fine settimana si annuncia intenso per il lavoro diplomatico. Il segretario di stato americano Colin Powell volerà a Islamabad e Nuova Dehli per rafforzare il legame con Pakistan e India, paesi in prima linea nella Grande Coalizione ma dai rapporti reciproci piuttosto turbolenti. Nel frattempo si muovono anche gli inglesi e il premier britannico Tony Blair si è speso in un viaggio diplomatico in Medio Oriente. Nella sua tappa egiziana ha assicurato che la coalizione guidata dagli Stati Uniti è destinata a tenere anche nelle prossime settimane. Una dichiarazione da prendere anche come buon auspicio.

12 ottobre 2001

 
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