Good Morning America. Fiero lo sguardo al
futuro
di Stefano da Empoli
Cielo cristallino sopra New York e Washington, clima ancora mite,
solo poche foglie ingiallite. L’11 ottobre non appariva tanto
diverso dal giorno in cui una piccola città di seimila persone è
stata spazzata via dalla follia omicida di pochi fanatici. Il mese
trascorso da quegli eventi ha però lasciato una chiara impronta su
qualcosa di più profondo e a noi più prossimo di qualche dettaglio
esteriore. Una volta tanto sono le nostre coscienze ad aver
superato in velocità la natura inanimata nella capacità di
trasformarsi e di adattarsi a nuovi eventi. Perfino i riti della
memoria che hanno costellato gli Stati Uniti nel trigesimo della
mattanza sono diversi dal passato. A cominciare dai principali.
Pochi minuti di preghiera a New York sulle rovine del World Trade
Center, prima delle nove di mattina. Poi tutti di nuovo al lavoro,
a cicatrizzare l’enorme ferita apertasi un mese prima. Per la
verità, le pale meccaniche delle decine di scavatrici non si sono
mai fermate, a poche centinaia di metri dall’improvvisato palco.
Nel nugolo di fumo e polvere che continua a fuoriuscire da “Ground
Zero”, non c’è tempo per riflettere sul passato. Quello lo si può
fare a fine giornata, quando si torna a casa e si pensa alle
migliaia di persone ormai indistinguibili dai detriti di ferro e
cemento. Quando si è in servizio, non c’è modo migliore di
rispettare i morti che lavorare sodo. Lo stesso avranno pensato i
dipendenti del Pentagono che sono rimasti alle loro scrivanie
mentre davanti alle finestre dei loro uffici si teneva la
cerimonia più solenne del giorno, alla presenza del Presidente
Bush. Come ha ricordato per l’occasione il segretario alla Difesa
Donald Rumsfeld, non c’è probabilmente luogo al mondo che negli
ultimi cento anni abbia garantito la nostra libertà più del
Pentagono e degli uomini che vi hanno lavorato.
Queste parole risuonano oggi più vere che mai perché non c’è altro
edificio che potrà contribuire di più a risolvere il problema del
terrorismo, con buona pace dei professionisti del pacifismo. Per
questo non ci si poteva fermare. Anche se quelli che hanno scelto
di farlo non hanno poi perso molto tempo. Un’ora è bastata a
racchiudere i discorsi di Bush, Rumsfeld, il nuovo capo di stato
maggiore della Difesa Myers, le preghiere multi-confessionali
tratte dalla Bibbia, dalla Torah e dal Corano e le note di
“America the Beautiful”, “The Battle Hymn of the Republic” e “God
Bless America”. I discorsi stessi, dopo aver reso omaggio alle
vittime, si proiettavano verso quello che è davanti a noi. Non
tanto per rispondere al desiderio di vendetta ma perchè la
principale nazione del Nuovo Continente ama declinarsi al futuro.
Conscia che opportunità e insidie compariranno intrecciate come
sempre e che spetterà a ciascuno di noi separarle. Senza indulgere
in riflessioni filosofiche sul passato ed in polemiche inutili.
Pronta come sempre a sporcarsi le mani per tutti noi, scavando tra
le macerie o uccidendo chi attenta alle nostre libertà.
12 ottobre
2001
stefanodaempoli@yahoo.com
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