Un tricolore accanto alle bandiere di Usa e Gran Bretagna
di Pierluigi Mennitti


Sarebbe bene non enfatizzare troppo lo squallido messaggio politico che l’opposizione italiana fornisce al paese (e all’estero) in queste ore difficili. Per carità di patria, innanzitutto. Perché ci vergognamo un po’ ad essere compatrioti di quanti si arrampicano sugli specchi viscidi dei distinguo, di quanti scambiano la bandiera americana per il simbolo del male pronti a fare l’occhiolino a ogni macellaio di questo pianeta. E ci deprime il bizantinismo politico di quella sinistra che si dice moderata ma non trova il coraggio di unirsi in una mozione comune con la maggioranza. Che diffonde la cortina fumogena del politichese per salvaguardare un’intesa strategica con quanti, Rifondazione, Verdi, Comunisti italiani, bruciano in piazza i simboli dell’Occidente.

Sarebbe bene tenere sotto tono questa pagina triste della nostra vita politica, perché forse, ad enfatizzarla, ci rimettiamo pure noi. Potremmo dare l’impressione - all’estero - che queste forze politiche, questi umori anti occidentali, questa oscura fascinazione per l’ambiguità, siano prevalenti nel paese. Chi ci osserva d’Oltralpe potrebbe immaginare che l’Italia si sia lentamente staccata dal complesso europeo, dove altre sinistre, con altre tradizioni rispetto a quella comunista, sono in prima linea al fianco dell’Occidente ferito. Invece a staccarsi dal contesto occidentale è la sinistra italiana, non l’Italia. E’ una coalizione che non governa né il paese né se stessa. Che ha azzerato in queste tre settimane il credito che pure aveva conquistato due anni fa con l’operazione in Kossovo.

Tiriamoci fuori da questo tunnel pericoloso. Non è quella dei Santoro, degli Agnoletto, dei Casarini la nostra Italia. E non è neppure quella dei Bertinotti, dei Cossutta e delle Francescato. E lasciamo al loro brodo primordiale i Rutelli, i Fassino, i Berlinguer, tronfi nelle parole di solidarietà e di fedeltà all’Occidente ma inconcludenti quando si tratta di prendere decisioni politiche, di operare strappi e tagliare ponti. Non abbiamo combattutto una battaglia culturale e politica per avere ancora a che fare con questo mondo. Suonino le loro marcette. Sfilino con gli striscioni riesumati dal tempo del Vietnam. Indossino le tute bianche, rosse, arancioni. Urlino gli slogan che vogliono. Ma non crediamo, noi per primi, che è a costoro che dobbiamo rispondere. C’è un’altra Italia da rappresentare, alla quale dar voce. E non deve essere solo il coraggioso manipolo dei radicali a farlo. C’è una bandiera da sventolare, accanto a quella americana, a quella inglese. C’è qualcuno che se la sente di farlo?

9 ottobre 2001

pmennitti@hotmail.com


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