Ma della nostra civiltà dobbiamo essere orgogliosi
intervista a Gianfranco Pasquino di Claudio Landi


Questa non è la guerra fra Occidente e Islam. Non è il famigerato "scontro delle civiltà". Tutt'altro: la comunità internazionale organizzata dietro lo stendardo degli Stati Uniti in una vera e propria "coalizione globale" ha come nemico il terrorismo. Ma siamo proprio sicuri che il nemico sia il "terrorismo"? In realtà, alcuni osservatori e studiosi parlano piuttosto di una "guerra civile inter-islamica", cioè di uno scontro all'interno del mondo musulmano, fra opposti interessi e orientamenti. Uno scontro che vede la comunità internazionale, con gli Stati Uniti in primo piano, come il principale ostacolo dell'ascesa al potere supremo della fazione fondamentalista più estremista. Ma qui il discorso comincia a farsi più complesso. E' evidente infatti che, se il conflitto ha anche i caratteri di una "guerra civile inter-islamica", allora appare necessario identificare meglio amici e nemici. La definizione "lotta al terrorismo" non basta a dare un progetto, un programma efficace alla coalizione globale. Ma allora, ora che siamo vicinissimi al D-Day, forse dobbiamo cominciare a chiederci, verso quale specie di conflitto stiamo andando? "Certamente non è una guerra come quella che si combatte fra stati, perché non si può individuare uno stato che entra in conflitto con un altro", afferma il politologo Gianfranco Pasquino, professore di scienza della politica a Bologna. "In questa guerra ci sono da una parte gli Stati Uniti, che esercitano un doveroso diritto di rappresaglia e c'è la Nato, che sostiene gli Usa in applicazione dell'articolo 5 del Trattato. Dall'altra parte c'è il gruppo dirigente di uno stato (e forse non soltanto di uno) che non ha misurato il suo consenso attraverso libere elezioni e che probabilmente ha finanziato e ospitato i terroristi. Tecnicamente, quella contro i talebani è semplicemente un'azione di polizia internazionale. Se venisse compiuta, come sarebbe preferibile, da più stati, e forse anche da una qualche partecipazione dell'Onu, sarebbe un'azione di polizia internazionale perfettamente legale dal punto di vista del diritto internazionale".

Allora professore, qual è la natura effettiva di questa guerra? Si evoca spesso il concetto dello scontro di civiltà, ma a suo avviso si sta andando verso un conflitto di questo genere?

Su questo terreno bisogna fare moltissima attenzione. E' vero che Berlusconi è incappato in una serie di inesattezze, ma non aveva torto su tutto. Il primo punto fondamentale è che lo scontro fra le civiltà è stato dichiarato da una parte del mondo islamico nel momento in cui parla di guerra santa contro l'Occidente, in particolare contro gli Stati Uniti. Certamente esistono differenze sostanziali fra l'idea di civiltà propria della cultura occidentale - un'idea che l'Occidente ha costruito negli ultimi tremila anni - e quella propria del mondo islamico - costruita a partire dalla comparsa di Maometto. E in questo momento storico bisognerebbe capire in che direzione è possibile ricomporre tali differenze. Inoltre, è vero che non conviene certamente a nessuno praticare lo scontro delle civiltà, però è l'espressione del concetto occidentale di civiltà che deve essere ribadito e salvaguardato da parte dell'Occidente stesso. Per esempio, nella tutela dei diritti umani, che sono al di là e al di sopra delle religioni. O nella salvaguardia del principio democratico, che implica la sovranità popolare, e che deve essere considerata una grande acquisizione della civiltà.

Della civiltà tout court o della civiltà occidentale?

Della civiltà occidentale in primo luogo, perché non possiamo fare finta di niente: qui nasce la democrazia, pur con tutte le sue imperfezioni. Ma un conto sono le imperfezioni della democrazia e un altro sono i regimi autoritari, militari o teocratici. Poi ci sono paesi non occidentali dove vigono sistemi democratici, il Giappone, la Corea, il Sudafrica, l'India. La democrazia può essere esportata, o comunque costruita in aree non occidentali. Questo però non è avvenuto nel mondo arabo.

Come mai?

Il mondo arabo ha un problema irrisolto, di cui spesso ci si dimentica affermando che esistono più interpretazioni dell'Islam. Il problema irrisolto è che non vi è separazione fra religione e politica. E nel momento in cui gli atti politici vengono dettati dagli Ulema, dagli Ayatollah, insomma dal clero - se così posso dire, anche se il termine è parzialmente fuorviante - non si può avere democrazia. La politica, in democrazia, deve essere dettata dai cittadini che si esprimono mediante elezioni libere.

Dunque secondo lei non c'è stata una modernizzazione politica nell'Islam; o meglio nell'Islam arabo, perché poi in altre aree islamiche la situazione è diversa…

Non so se in altre parti dell'Islam la situazione sia diversa. L'unico paese ove si è tentato un esperimento democratico e dove vi è una cospicua presenza dell'Islam è l'Indonesia. Ma nel mondo arabo la democrazia ha sempre incontrato grandissimi inconvenienti.

Vi è un altro paese musulmano con una regime democratico, o quasi-democratico: la Turchia.

Sì, la Turchia è una eccezione. Ma in Turchia c'è stata la separazione fra stato e chiesa. Ataturk è definito padre della patria perché riuscì a costruire uno stato laico. Il passaggio è stato compiuto in Turchia e parzialmente in Indonesia, ma non altrove. E' stato tentato in Pakistan da Alì Bhutto e da sua figlia, ma è fallito: ora c'è un regime militare che non è democratico e vi è una straordinaria presenza di forze fondamentaliste islamiche.

Dunque il mondo arabo ha un problema irrisolto. Ma il fondamentalismo non esiste solamente nel mondo arabo.

Le religioni hanno una straordinaria capacità di assumere i toni dell'integralismo e del fondamentalismo. Un po' tutte. Anche il cattolicesimo ha avuto le sue fasi fondamentaliste; anche in Italia abbiamo vescovi fondamentalisti che, se potessero, sottometterebbero la politica ai dettami religiosi. Ma ci riescono poco alla fine. Invece l'Islam è molto più potente da questo punto di vista.

La democrazia liberale deve guardarsi da qualsiasi forma di fondamentalismo integralista…

Non c'è dubbio. Ma nessuno può pensare che esista, in questo momento nel mondo occidentale, una democrazia liberale che si esercita secondo i dettami religiosi, siano essi riconducibili al cattolicesimo o al protestantesimo.

A suo avviso, il fondamentalismo islamico è sempre coniugabile con il terrorismo?

No. Il fondamentalismo islamico non è coniugabile tout court con il terrorismo, ma in questa fase storica c'è un rapporto strettissimo fra i fondamentalisti che vogliono e dichiarano la guerra santa e i terroristi che in qualche modo eseguono quelle indicazioni. Nel momento in cui cessasse l'invocazione alla guerra santa e alla ricompensa per coloro che questa guerra santa conducono, probabilmente si ridurrebbe l'area nella quale i terroristi si muovono e dalla quale traggono finanziamento ed anche gratificazione psicologica. La guerra all'interpretazione estrema del fondamentalismo deve essere combattuta dagli stessi islamici moderati. E' una grande operazione culturale che dovrebbero riuscire a fare loro. Noi possiamo soltanto limitarci a dire quello che ci sembra debba essere acquisito attraverso una interpretazione diversa dell'Islam (quindi non attraverso la moderazione). Se questo è possibile. Sarebbe un lungo passo verso un processo di modernizzazione dell'Islam.

8 ottobre 2001

appioclaudio@yahoo.com


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