La guerra diplomatica.
Grande Coalizione contro il terrorismo


L'attacco è partito dopo che Kabul è stata completamente isolata sul piano politico. Il buio che è piombato sulla capitale pochi minuti il lancio dei cruise ha fatto il paio con il buio diplomatico che gli Stati Uniti hanno steso attorno al paese dei talebani. Il passo finale è stato il ritiro dei diplomatici pakistani, gli ultimi ad essere rimasti in Afghanistan e ad aver tentato l'infruttuosa mediazione delle prime settimane. Così il paese dell'Asia centrale è stato tagliato fuori dai rapporti con il resto del mondo. Fin dall'inizio si è detto che l'attività politica sarebbe stata parte integrante di una guerra condotta con metodi nuovi. E su questo versante, nella settimana appena trascorsa, sono stati compiuti passi decisivi. Passi che hanno permesso l'avvio della risposta militare.

Unico neo è stato lo scontro con Israele, ricomposto in 24 ore dopo una pericolosa fiammata polemica. La furibonda reazione di Ariel Sharon ("Si vuole sacrificare Israele come si fece con la Cecoslovacchia nel 1938 consegnata ad Hitler") all'ipotesi di un via libera di Washington alla creazione di uno stato palestinese e la gelida replica di Bush ("dichiarazione inaccettabile") hanno segnato il momento più basso nella storia dei rapporti tra i due paesi. Quello israeliano è il tassello che non si compone nel puzzle organizzato da Bush. La svolta nelle relazioni internazionali che gli Usa hanno imposto dopo l'11 settembre sembra particolarmente rilevante per quanto riguarda lo scacchiere mediorientale.

Lo scontro tra Usa e Israele è scoppiato alla fine di una settimana nella quale, invece, i risultati erano apparsi più che positivi. A partire dall'intervento di Rudolph Giuliani all'assemblea dell'Onu, nella quale il sindaco di New York ha esortato i rappresentanti del mondo a non tirarsi fuori da questa guerra senza confine al terrorismo, per finire al viaggio in Medio Oriente (Arabia Saudita, Oman, Egitto, Uzbekistan) del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, gli Usa hanno completato la paziente tela di ragno tessuta con tenacia. La grande coalizione contro il terrorismo abbraccia - con intensità differente - paesi che fino a qualche settimana fa erano su posizioni diametralmente opposte. Dalla Russia alla Cina, dalle ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale ai cosiddetti paesi arabi moderati, fino a Iran e Pakistan. Dalla Conferenza di Durban ad oggi il capolavoro della diplomazia americana è stato quello di capovolgere il sentimento comune nei confronti di Washington. Quanto sincero sia l'appoggio di alcuni dei paesi coinvolti, quanto compatta sarà questa nuova coalizione, sarà oggetto di valutazione nelle prossime settimane.

Per ora Bush ha incamerato le adesioni. Come accaduto con l'invio delle prove contro Osama bin Laden, considerate inoppugnabili da tutti i governi che le hanno ricevute, Pakistan compreso. E con le concessioni di spazi aerei o di appoggi logistici da parte dei paesi dell'Asia centrale confinanti con l'Afghanistan. Oltre agli Usa, attivissimi sul piano diplomatico sono stati pure gli inglesi. Il premier Tony Blair è volato a Mosca e poi in India a metà settimana per definire le ultime strategie comuni con Putin dopo aver fatto un coraggioso e apprezzato intervento alla Camera dei Comuni londinese. Adesso, partito l'attacco militare, bisognerà misurare la tenuta di un'alleanza tanto variegata e l'effetto che l'espletamento della potenza militare anglo-americana avrà sui paesi che ne fanno parte. Paesi arabi in testa.

8 ottobre 2001









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