E' di scena il miracolo scandinavo
di Pierluigi Mennitti


Copenaghen - Quando sole e tepore scaldano le terre della Danimarca (e questo, in estate, accade più spesso di quanto non si pensi), le strade di Copenaghen si affollano di carrozzine che mamme giovanissime (e qualche papà moderno) spingono sul selciato rendendo faticoso il passeggio. Marmocchi biondissimi spuntano da ogni via, due, tre, quattro per coppia tirati a stento dai genitori divertiti e tutta la città sorride assieme al sole, al caldo e ai suoi bambini. La scena, che sorprende il viaggiatore italiano abituato alla crescita zero del suo paese, si ripete in ogni città e in ogni villaggio della Danimarca e si moltiplica al di là del mare nella gemella Svezia. Non c'è alcun dubbio: per fotografare il benessere di questo spicchio d'Europa, basta venire quassù in un giorno di sole e specchiarsi nell'allegria contagiosa dei suoi bambini. E' un po' come dire che il futuro sorride.

In pochi, alle nostre latitudini, ci hanno fatto caso ma l'area geopolitica che più di ogni altra ha beneficiato del crollo dei regimi comunisti è stato il Baltico. Quell'anello di stati e regioni che va dalla Danimarca allo Schleswig Holstein, dalla Pre-pomerania tedesca alla Polonia settentrionale, dalla Lettonia all'Estonia e, lambendo appena San Pietroburgo, piega poi verso la Finlandia, la Svezia e la Norvegia per chiudere il cerchio di nuovo con la Danimarca. L'anello baltico, moderna riproposizione delle fortune e delle ricchezze della Lega Anseatica di sette secoli fa. L'Europa artica, che ha accompagnato il disgelo politico con un'ansia di riallacciare rapporti, storie, passioni comuni per proporre al Continente un'alternativa ottimistica all'Europa carolingia. E così mentre la Francia si trincerava dietro ataviche paure di egemonie tedesche e la Germania si macerava nell'incubo di dover prendersi sulle spalle l'intera Europa e i Balcani implodevano nella guerra dei dieci anni e i paesi latini ripiegavano nell'egoismo di progetti utilitaristici, qui nel Baltico, è stato tutto un rifiorire. Di traffici, progetti, iniziative di cooperazione.

In dieci anni Copenaghen si è ritrovata al centro di un tessuto economico e sociale vastissimo che abbraccia l'intera area baltica. Commerci intensificati con Germania, Svezia e Norvegia, rapporti ripresi con Polonia, Lettonia ed Estonia. Una serie di opere infrastrutturali che l'hanno proiettata nel bel mezzo di un interscambio nodale per il traffico dell'Europa nordica. Nel breve volgere di due anni due opere formidabili, paragonabili al tunnel che attraversa la Manica, hanno stravolto i ritmi di una città un tempo tranquilla. A ovest il Gran Belt connette l'isola di Copenaghen a quella di Fiona, dunque al continente europeo attraverso un ulteriore presistente collegamento con la regione dello Jutland. A est il collegamento sull'Oresund - sedici chilometri fra piloni, cemento, asfalto e tunnel sottacqua - connette Svezia e Danimarca, Malmoe e Copenaghen. Tutto il traffico scandinavo, oggi, passa da qui. E dai cento traghetti veloci che solcano le onde tra le altre capitali del Baltico, da Kiel a Stoccolma, da Helsinki a Tallin, da Amburgo a San Pietroburgo, da Swinoujscie a Copenaghen, da Copenaghen ad Oslo. Tutto questo è avvenuto negli ultimi dieci, frenetici anni. Assieme allo sviluppo dell'industria tecnologica svedese e finlandese, che ha poi germinato in Danimarca ed Estonia diffondendo lavoro e benessere.

Un benessere nordico, che a fatica riesce a vincere i rigori del freddo e delle lunghe, buie notti invernali. Ma è un successo concreto, del quale noi italiani neppure siamo a conoscenza e giungiamo come viaggiatori supponenti fino a queste latitudini per ritrovarci meravigliati e stupiti ad osservare la grandiosità di un ponte, noi che peniamo da decenni per realizzarne uno piccolo piccolo tra Messina e Reggio Calabria. Dunque corre l'Europa baltica. Non ha avuto i riflettori della ribalta. Caduto il Muro è stata Berlino ad occupare la scena per dieci anni, con i suoi mega progetti architettonici, le sue elucubrazioni geopolitiche, le sue angosce e le sue ansie di riscatto. Ma è sul Baltico che si è cominciato a costruire la nuova Europa, mentre da giù, dal Mezzogiorno, arrivava l'eco lontana e incomprensibile dei massacri jugoslavi.

E' un'Europa un po' strana, quella che emerge dal Baltico. Un'idea frastagliata e composita, forse per nulla compatta, con una Danimarca che si pone tra gli alfieri dell'euroscetticismo accompagnata da una Svezia restia ad abbracciare la moneta unica. Mentre dall'altro lato la Finlandia non ha avuto remore a tuffarsi nell'avventura dell'euro e Polonia ed Estonia puntano tutto il loro futuro nell'ingresso nella Ue. Sembra quasi che la tensione verso Bruxelles sia direttamente proporzionale alla distanza dal vecchio dominatore sovietico. Chi ha più subito l'influenza russa attende con maggiore impazienza di gettarsi alle spalle il passato e vede l'Europa come la porta verso il futuro, un futuro dal quale sarà ormai impossibile tornare indietro. Ma altri stati, quelli occidentali da sempre, mantengono forte il loro orgoglio e hanno lo sguardo disincantato sulla burocrazia di Bruxelles. Danimarca e Svezia sono da anni ai primi posti del mondo nella speciale classifica dei paesi meno corrotti del mondo, motivo che spiega in parte l'efficienza di uno stato sociale pesante che però funziona e che si è dimostrato compatibile con la new economy e con la globalizzazione.

Con un lungo reportage alla scoperta di questa nuova Europa, che parte da Copenaghen, attraversa la Svezia e la Polonia, e si conclude nelle inquietudini di Berlino, riapriamo il nostro settimanale dopo la pausa estiva. Un reportage diviso in più articoli con l'obiettivo di indagare le questioni dei nostri tempi raccontando le cose per quello che sono e non per come vorremmo che fossero, a seconda delle ideologie che professiamo. Ci sembra un esercizio utile in tempi in cui si odono di nuovo grida di battaglie ideologiche.

7 settembre 2001

pmennitti@ideazione.com






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