"Solo le riforme strutturali salveranno il Sol Levante"
intervista a Mario Baldassarri di Claudio Landi


"La situazione è seria, ma non ci troviamo di fronte all'ipotesi di un tracollo imminente, come sembrerebbe a giudicare dal valore del debito e delle insolvenze bancarie", afferma l'economista Mario Baldassarri con il quale abbiamo affrontato il problema giapponese da un punto di vista strettamente economico. "E' grave e seria soprattutto perché si trascina da tanti anni. La verità è che il mondo è cambiato radicalmente in questi anni Novanta e il Giappone non è cambiato affatto. Il suo grande punto di forza, quello che ha fatto il miracolo giapponese, è stata la coesione interna del Giappone e, in politica economica, lo stretto intreccio fra il ministero dell'Industria, il sistema bancario e quello imprenditoriale. Tre gambe in una che marciavano insieme compattamente, tenendo chiuso il paese ai prodotti stranieri e invadendo i mercati di tutto il mondo grazie ad un alto livello di competitività. Quello sviluppo, trainato dalle esportazioni e dalla grande coesione interna, oggi in realtà è il motivo di maggior freno per il paese". 

Qual è l'attuale situazione economica giapponese?

Agli inizi degli anni Novanta, il Giappone ha cominciato a decelerare drasticamente la sua crescita. Ci aveva abituato per trenta-quarant'anni a tassi di sviluppo del 4-5 per cento annui, ma da dieci anni il tasso di sviluppo giapponese si è assestato tra lo zero e l'un per cento medio. Il Giappone ha rifiutato di guardare alle riforme strutturali interne, sul piano politico, economico e bancario, e ha tentato di risolvere il problema secondo una vecchia ottica: facendosi trascinare dalle esportazioni verso il resto del mondo; applicando a questi nodi strutturali una ricetta tradizionalmente keynesiana, abbattendo i tassi di interesse allo zero per cento e incrementando il deficit di bilancio pubblico con un grosso aumento della spesa pubblica. Il debito pubblico giapponese solo quattro o cinque anni fa ammontava al 70 per cento del pil, ora ha superato il 120 per cento. Ma tutto questo non ha funzionato.

Ma come mai i giapponesi sono così poco consumatori?

Intanto bisogna spiegare che il modello di sviluppo del paese degli ultimi 50 anni non è stato un modello di crescita della domanda interna; l'economia è sempre stata al traino delle esportazioni, e difatti il livello dei consumi - abitazioni, automobili, eccetera - è sorprendentemente basso per gli standard Usa ed europei. Lo sviluppo dunque si è basato non su consumi interni, ma sulle esportazioni soprattutto tecnologiche che, in misura imponente, invadevano il resto del mondo. I consumi interni non sono mai stati la molla vera dello sviluppo. In questi ultimi dieci anni, poi, il governo di Tokio si è illuso che lo stimolo keynesiano potesse risolvere i problemi, ignorando che in realtà una politica di questo tipo funziona quando l'economia sta bene strutturalmente e semmai vive un problema di scarsità della domanda. Quello stimolo non funziona più se invece l'economia presenta problemi strutturali. A questo si deve aggiungere un elemento che definirei sociologico: negli ultimi tempi i giapponesi sono spaventati, anzi terrorizzati poiché vedono che quel modello di coesione sociale, basato sulla sicurezza dell'impiego che non poneva loro alcuna preoccupazione per il futuro, è entrato in crisi. Negli ultimi due-tre anni i giapponesi hanno cominciato a vedere le case automobilistiche comprate dagli stranieri, la disoccupazione più che raddoppiata. Le loro aspettative in termini di sicurezza e sviluppo sono progressivamente andate diminuendo fino a diventare di segno negativo. Ora, nonostante lo stimolo del bilancio pubblico, i nipponici non sono certo indotti a porre i propri consumi su livelli più elevati. 

Il blocco di potere che ha dominato il Giappone si comincia ad incrinare?

Sì, comincia ad incrinarsi perché non produce più gli effetti dei decenni precedenti: il mondo è molto più aperto e flessibile. Il punto di forza era la flessibilità di tecnologie e produzioni, pur in assenza di una flessibilità sociale. Ma in passato era il Giappone a fare concorrenza. Ora sono i nuovi paesi emergenti e gli Stati Uniti che hanno avuto incrementi di produttività incredibile.

Ma allora che cosa dovrebbe fare il Giappone?

Dovrebbe affrontare i suoi problemi strutturali, diventare un'economia, una democrazia e una società aperta.

20 marzo 2001

appioclaudio@yahoo.com

 

stampa l'articolo