In Macedonia la quinta fase della guerra balcanica
di Rodolfo Bastianelli


Quando due anni fa la Nato decise di intervenire in Kosovo a difesa della popolazione albanese, l'ex Segretario di stato americano Henry Kissinger disse che per risolvere la secolare crisi balcanica non sarebbe stata sufficiente l'azione che la comunità internazionale stava per avviare nei confronti della Jugoslavia di Milosevic. Era chiaro infatti che l'intervento armato da solo non sarebbe bastato a riportare la stabilità in un delle aree più esplosive del pianeta, come era altrettanto chiaro che l'emergere del problema albanese avrebbe prima o poi finito per coinvolgere anche la Macedonia innestando una reazione in grado di far esplodere l'intera regione balcanica.

Composta da un vero e proprio puzzle di nazionalità, la Macedonia vede presente al suo interno un 23 per cento di abitanti di origine albanese concentrati nella parte occidentale del paese adiacente al confine kosovaro, una minoranza che sin dal momento della nascita dello stato ha rivendicato uno status particolare ed una modifica della Costituzione che dichiarasse la Macedonia non più come lo stato nazionale dei soli macedoni ma anche degli albanesi. Una richiesta che il governo di Skopje ha continuamente respinto, sostenendo che un cambiamento in tal senso dell'assetto costituzionale metterebbe a rischio l'esistenza stessa dello stato macedone. Avanzata al Parlamento di Skopje dai membri del Partito democratico albanese (Pda), questa revisione costituzionale sarebbe infatti il primo passo verso la secessione da parte delle zone a maggioranza albanese, un obiettivo a cui l'Uçk non ha mai negato di puntare affermando che la Macedonia occidentale rientra all'interno dei confini della nazione albanese. Uno scenario che in breve tempo porterebbe la Macedonia all'esplosione, aprendo così la strada ad un conflitto generalizzato che coinvolgerebbe quasi tutta la regione balcanica, in primo luogo Bulgaria, Serbia e Grecia che da secoli rivendicano il possesso di questa regione.

Il governo di Atene ha impedito fin dall'inizio il riconoscimento della Macedonia in quanto riteneva inaccettabile che un paese straniero portasse il nome di una regione storica della Grecia, imponendo al nuovo stato, come condizione per il riconoscimento, sia il cambiamento del nome in "Former Yugoslavian Republic of Macedonia" (Fyrom) che la sostituzione della bandiera. Ma le tensioni che oggi minacciano di dar fuoco a tutta la polveriera balcanica non sono però solo il risultato del conflitto in Kosovo ma derivano soprattutto dalla serie di errori politici commessi dalla comunità internazionale nella ex-Jugoslavia, tra i quali il più macroscopico è quello di aver lasciato al potere Milosevic per oltre un decennio. Vuoi per la debolezza dell'opposizione ma soprattutto per il fatto che veniva visto come uno dei garanti della stabilità nell'area balcanica, il leader serbo è rimasto infatti ben saldo alla guida del suo paese durante tutti gli anni del conflitto jugoslavo. Finché la brutale repressione delle forze di Belgrado in Kosovo ed il timore che questa regione potesse esplodere hanno spinto la comunità internazionale ad agire e ad usare la forza contro Belgrado.

L'intervento della NATO, che va ricordato era legittimo sul piano del diritto internazionale, pur avendo raggiunto l'obiettivo di porre termine alla repressione contro la popolazione albanese ha però mancato quello fondamentale di allontanare dal potere Milosevic, sia perché nessuno era disposto a prendere il rischio di un intervento armato terrestre, sia per il fatto che molti nonostante tutto temevano che in Serbia si potesse creare un pericoloso vuoto di potere che avrebbe spinto alla secessione il Montenegro e forse la Repubblica serba di Bosnia, mettendo a rischio la stabilità dei Balcani. Milosevic dopo il conflitto è così rimasto al suo posto, ed è stato questo l'errore fondamentale. Senza che a Belgrado vi fosse un referente politico credibile, gli interessi della Serbia e della sua popolazione non hanno trovato ascolto sul piano internazionale, lasciando il campo libero alle azioni ed ai progetti indipendentisti degli albanesi che avevano puntato proprio sulla pessima immagine del regime serbo per far raggiungere al Kosovo l'indipendenza.

Con la caduta di Milosevic lo scorso ottobre il quadro è radicalmente cambiato. Ma, paradossalmente, proprio il ritorno della democrazia in Serbia e la salita al potere di Kostunica, hanno finito per complicare ulteriormente la situazione. Se da un lato l'Europa e gli Stati Uniti hanno deciso di riavvicinarsi alla Jugoslavia ponendo un freno alle aspirazioni indipendentiste degli albanesi, dall'altro ben difficilmente i kosovari accetteranno questa nuova situazione, puntando così sulla radicalizzazione dello scontro e sul coinvolgimento diretto della Macedonia: è quello che sta accadendo in questi giorni. E' difficile prevedere quali saranno i prossimi scenari della crisi ma forse uno sicuramente si è già verificato: i Balcani oggi assomigliano sempre di più alla polveriera di inizio Novecento.

20 marzo 2001

rodolfobastianelli@tiscalinet.it

 

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