"Ai democratici mancano leader e nuove idee politiche"
intervista a Massimo Teodori di Cristiana Vivenzio

Di questioni americane lui se intende. E forse è tra i maggiori conoscitori italiani del sistema politico statunitense. Massimo Teodori, professore a Perugia di Storia dell’America, interpreta quanto sta accadendo all’interno del partito democratico statunitense in occasione delle primarie come una cronaca già annunciata dei fatti. “In effetti, una spaccatura interna alla sinistra Usa era già emersa in merito al documento sulla sicurezza nazionale del settembre del 2002, in cui tutta la politica repubblicana trovò un proprio riallineamento, modificando nel complesso la politica Usa, non solo quella estera. Allora, su quel documento stilato dai neocons, i democratici si divisero: alcuni rimanendo su posizioni vetero pacifiste, lo rifiutarono. Altri ne accettarono i principi, accettando, di fatto, il nuovo ruolo mondiale degli Stati Uniti. Anche se in Congresso chi allora votò a favore del documento sulla sicurezza nazionale fu la maggior parte dei democratici.

La stessa spaccatura oggi si sta riflettendo sulla campagna elettorale…

Certamente. Con Howard Dean, sbilanciato sulle posizioni vetero-pacifiste, di cui parlavo, che non ha accettato la linea della sicurezza di Bush, non riuscendo, però - almeno mi pare - ad avanzare alcuna proposta alternativa agli americani. E, sul fronte “opposto”, con gli altri due candidati, Joe Lieberman e Wesley Clark, che, è vero, hanno fatto dei distinguo sulla modalità di intervento americano in Iraq, ma non hanno mai di certo messo in dubbio la necessità di quell’intervento.

Un partito al bivio?

I democratici sono in evidente difficoltà, e non tanto per lo scontro frontale che si sta delinenando tra due diverse concezioni della politica americana in seno al partito, quanto piuttosto per la realizzazione di almeno due mosse vincenti segnate dai repubblicani in politica interna.

Quali sono queste mosse, professore?

La prima è stata quella di assicurare l’assistenza sociale e sanitaria ai veterani; ma, ancor più significativo, Bush è stato l'artefice dell'approvazione della legge che legalizza gli immigrati ispanici. Soprattutto quest’ultima scelta politca, infatti, ha rappresentato un colpo basso per i democratici che sono sempre stati più vicini alle minoranze etniche, soprattutto le nuove. Si batterono strenuamente per la difesa dei diritti dei neri, in passato, lo stanno facendo oggi per quella degli ispano-americani. La scelta di Bush di legalizzazione è assolutamente significativa, perché i latinos oggi sono la minoranza etnica più numerosa negli Usa, con uno sviluppo demografico altissimo. E il loro voto risulta assolutamente decisivo per alcuni Stati, come la California, l’Arizona, il New Mexico, il Texas, la Florida, in cui vincere è determinante per ottenere poi la vittoria finale. Se a questo si aggiunge il successo ottenutio con la cattura di Saddam ecco giustificato lo schizzare dei sondaggi in favore della rielezione del presidente.

E il voto degli ebrei, migrato massicciamente dai democratici ai repubblicani?

Il riavvicinamento del mondo ebraico statunitense alle fila repubblicane è apparso naturale, grazie alla ferma posizione di favore di Bush nei confronti di Israele. Anche il voto ebraico è importantissimo per gli equilibri statali, per esempio nello Stato di New York. Non va mai dimenticato quanto decisiva sia la partita statale nell’elezione del presidente degli Stati Uniti, poco importa oggi come oggi il favore ottenuto a livello nazionale dai cantdidati, quello che conta sono gli equilibri di voto dei singoli Stati.

Volendo avanzare una previsione?

Che cosa accadrà sembra abbastanza scontato: soprattutto se si dovesse verificare l’ipotesi della discesa in campo di un terzo condidato antagonista a democratici e repubblicani, come Nader alle scorse elezioni. I democratici soffrono oggi di un problema grave, che va oltre la spaccatura in due del partito ed è la mancanza di un leader, di un candidato dal forte carisma che sia in grado di ricompattare l’elettorato di sinistra.

Un’ultima questione più vicina a noi. Una parte della sinistra italiana ha vantato in questi anni una sorta di filo diretto con l’ala liberal del partito democratico Usa. Come si porrà di fronte a questo nuovo assetto del partito statunitense?

Mi sembra che l’ispirazione della sinistra italina alle posizione liberal americane sia stata sempre superficiale e assoltamente generica, o almeno non sufficiente rendere degna una estrapolazione ideologica di alcun tipo.

16 gennaio 2004

vivenzio@ideazione.com

 
stampa l'articolo