Riformare la giustizia per riformare la società
di Patrizio Li Donni

Il primo ad immaginarla con una bilancia in mano su cui valutare torti e ragioni fu Esiodo. La chiamò Dike, la dea che sancisce il giusto. Una immagine da allora consacrata nel tempo con pitture e statue, un concetto di equità e saggezza, di nobile mezzo per dirimere e amministrare le controversie delle imperfette comunità umane. La nostra, cioè quella italiana, è una bilancia sgangherata che non soppesa più per motivi assai diversi tra loro, le giuste esigenze di equità e giustizia del popolo italiano. Invece di girotondare sullo stato dell’informazione gridando al regime, rifacendosi a non ben meglio identificate classifiche sul grado di libertà di informazione, che collocherebbero l’Italia dopo il Madagascar, meglio sarebbe per tutti se questa sinistra si volgesse a dati reali e concreti come quelli delle condanne inflitte all’Italia dalla corte europea di Strasburgo, classifica in cui è, questa volta, tristemente prima. Articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, quello dello durata dei processi, sia civili che penali: basterebbe questo dato per scandalizzarsi. Cosa c’è infatti di più ingiusto che vivere con la spada di Damocle di una pronuncia, civile o penale che sia, sulla testa? Una vera giustizia essa deve essere pronta, altrimenti è inefficace e controproducente. Non entriamo nella scandalo della Legge Pinto (ultimi giorni del governo Ulivo), che iniquamente limita di molto l’accesso diretto alla Corte europea, assegnando la valutazione della responsabilità della lunghezza del procedimento alle Corti di Appello italiane competenti per territorio, un’altra vergogna, con in più la beffa di una condanna alle spese per il ricorrente ( una dissuasione?) in caso di mancato riconoscimento di violazione dell’articolo 6. Un caso clamoroso di conflitto di interessi e di sperequazione con gli altri paesi europei, di cui in misura doppia ne fa le spese il cittadino. Ma è solo un piccolo esempio fra mille.

Giulio Andreotti è l’esempio vivente di questa stagione: doveva essere l’esempio, la condanna politica per via giudiziaria delle maggioranze che hanno governato l’Italia nel dopoguerra. Questo sì, qualcosa più di un teorema, ormai con tutta evidenza un progetto, crollato miseramente, così come miseramente e misteriosamente erano sorti i processi a carico dell’ex “dominus” della vita politica italiana. Un’altra anomalia italiana: La lotta negli anni trascorsi tra politica e potere giudiziari. Si è detto supplenza, è un termine improprio, più giusto definirla invasione di campo.La politica, umiliata nel suo complesso dal potere giudiziario, (ma non va dimenticata anche la corruzione c’era, e coivolse molti uomini di spicco della Prima Repubblica, vorrebbe la sua rivincita sulla magistratura, ma occorre attenzione il decennio trascorso non può non aver lasciato nei cittadini anche la voglia di una giustizia più equa. Questo governo vuole finalmente mettere mano, riordinandolo, all’ordinamento giudiziario, in un clima diverso da quello che ha attraversato l’Italia in questi dieci anni. La riforma in parlamento prevede in particolare la distinzione delle funzioni, l’aggiornamento professionale con degli esami e delle valutazioni intermedie in modo da non rendere la carriera automatica e la preparazione dei magistrati obsoleta dopo pochi anni, ma anche l’inserimento di un principio regionalistico nei consigli giudiziari, immettendo in questi consiglieri non togati designati anche dai consigli regionali.

Il decreto legislativo prevede inoltre norme che impediscano il radicamento dei magistrati e dei giudici nei distretti di competenza, come quelle che vietano il cambiamento delle funzioni nello stesso distretto. Ma il decreto delegato al vaglio del Parlamento non è che un prima passo, perché se è vero che in esso vedono la luce misure importanti che iniziano a scalfire l’automatismo di carriera per anzianità e la qualificazione professionale dei magistrati e vi si abbozza una definizione delle competenze dei vertici delle procure tanto ancora per completare la riforma dovrà esser fatto. Della tanto paventata subordinazione delle procure all’esecutivo ( ma in Francia non c’è nessuno scandalo per questo), non c’è traccia, e nemmeno nella riforma trova cittadinanza la revisione della obbligatorietà della azione penale, principio ormai che i magistrati non sono in grado di far rispettare, e che offre il destro alla pratica della scelta dei reati d perseguire da parte dei procuratori e dei loro sostituti.Con tutto quel che ne consegue per le motivazioni e le origini delle scelte. (Arrivismo, sensazionalismo e notorietà, quanto mai estranei ad una corretta gestione della giustizia in questo contesto).

La Associazione Nazionale Magistrati si lamenta per un eccessiva e ricorrente verifica del magistrato durante la sua carriera che lo renderebbero fragile e precario nella sua funzione. non si comprende perché non dovrebbe essere verificabile la sua preparazione nel tempo, e con una frequenza mediamente elevata. In realtà il viaggio nella riforma è appena all’inizio, ma il primo passo è fondamentale apre la via verso la meta di un paese normale quello senza correnti in magistratura, vera anomalia, in quanto il diritto e le leggi non possono avere letture ideologiche nella sua fase di applicazione. Il potere di fare il legislatore o l’applicazione politica della legislazione non appartiene ai magistrati che autonomia e autogoverno ipocritamente coprono. Sembrerà a molti strano ma c’è nel nostro sistema giudiziario un deficit di democrazia, un governo, anzi un autogoverno degli addetti ai lavori, senza che il popolo possa intervenire ed esercitare il suo controllo democratico sulla organizzazione e sulla applicazione della giustizia. Ci piacerebbe poter scegliere il procuratore del nostro distretto tramite elezioni, per il lavoro e la politica giudiziaria svolta, questo sarebbe un grande avanzamento culturale e di democrazia del nostro paese e nel contempo un sistema per garantire l’indipendenza da quell’esecutivo che magistrati e sinistra vedono pur non essendolo, come il male assoluto.

5 dicembre 2003


patlidonni@yahoo.it