L’onda lunga della svolta di Fiuggi
intervista a Domenico Mennitti di Cristiana
Vivenzio
Anche chi ha militato per tanti anni nelle fila del Msi come Domenico
Mennitti - oggi europarlamentare di Forza Italia e direttore di
Ideazione - vede la svolta di Fini come il compimento di un percorso
cominciato a Fiuggi. “Si è trattato di dire con chiarezza che An è una
cosa diversa dal Msi. L’argomento è forte, il gesto è stato forte. Per
molti anni si è andati avanti con le mezze misure. Si diceva: ci sono
state le leggi razziali, il fascismo le ha adottate perché imposte dai
tedeschi ma hanno avuto un’applicazione molto circoscritta. E su questo
argomento fino ad oggi sono state dette mezze frasi. Ma su temi come
l’antisemitismo e il razzismo le mezze misure non possono esserci. La
condanna è stata totale? Si doveva agire in questo modo”. Eppure Fini ha
parlato di “male assoluto”, e c’è chi oggi continua a rammentare al
leader di Alleanza nazionale il vecchio detto almirantiano: “Non
restaurare e non rinnegare”. “Sull’individuazione del male assoluto ho
qualche dubbio, nel senso che il fascismo ha avuto luci e ombre. Certo,
è stato un regime illiberale. Questo è un dato rispetto al quale il
percorso del Msi è stato a lungo equivoco: si rivendicava la libertà,
parlare di democrazia significava quasi pronunciare una bestemmia.
Fiuggi sotto questo aspetto ha significato molto, rappresentando un
superamento deciso e chiaro, perché non soltanto ha rivendicato il
principio di libertà ma ha trasferito questo principio in un sistema
politico che si chiama democrazia”.
“Per quanto riguarda il ‘non rinnegare’, che investe il rapporto col
fascismo, credo ci sia una volontà da parte dei vertici di An di non
condizionare il dibattito politico odierno con il peso della storia.
Fini ha consegnato alla storia il fascismo e da oggi la politica si può
svolgere più liberamente: non essendoci più una forza politica
organizzata che rivendica il suo rapporto col fascismo, il fascismo non
ha più possibilità di realizzarsi. Tutto ciò ha aperto la strada ad
un’analisi seria su tutti i fronti: sia su quello di coloro che hanno
richiesto e imposto l’atteggiamento di rottura sia da parte di coloro
che, probabilmente anche alla luce delle recenti interpretazioni
storiografiche, hanno interpretato il fascismo come un’esperienza
storica che appartiene a tutti gli italiani. Quello che non può di certo
accadere, né per volontà dei dirigenti di An né perché ieri lo volevano
altri, è che si possa cancellare un periodo della storia d’Italia.
Quindi sia chiaro: è giusto che la storia non condizioni più, come per
sessant’anni è avvenuto in Italia, il dibattito politico ed è giusto
ritenere definiti tutti i rapporti col passato. Ma non si può pensare di
essere rimasti senza storia”.
Ciò non significa, come hanno detto molti, una perdita dell’identità del
partito? “Ho forti dubbi che l’identità sia un dato politico rilevante
in questa fase della storia del nostro paese, perché essa è collegata
all’ideologia, tanto è vero che, meno forti erano i partiti, più forte
era l’identità; una rivendicazione di se stessi rispetto al resto del
mondo. Quella fase ideologizzata si ritrovava perfettamente in un
sistema elettorale proporzionale, in cui ogni partito assumeva un
segmento di verità e pretendeva di imporlo come verità per tutti. Quando
invece vige un sistema elettorale maggioritario è il progetto politico
ad essere fondamentale. Varie culture interagiscono nella stessa area,
ma il momento dell’unità è il programma”.
Questo dovrebbe tacitare gli animi di quanti temono la
“de-ideologizzazione” del partito... “Ma An non è più un partito
ideologico da oltre 10 anni e questo si vede e si sente. Il partito
ideologico è collegato anche per via di un dato anagrafico ad una fase e
ad un gruppo sempre più ristretto che in verità è stato anche
estremamente generoso, che non ha mai posto problemi e che ha capito che
dopo cinquant’anni di opposizione l’esigenza del partito non era la
diversità, ma esattamente l’opposto, di essere come gli altri, di
ottenere il riconoscimento degli stessi diritti e degli stessi doveri
degli altri. In rapporto a questo, poi, e tornando alla questione
dell’antisemitismo, una cosa va chiarita: nel Msi c’erano i reduci,
certo, ma c’erano anche quelli della mia generazione, i figli dei vinti,
coloro i quali avevano scelto questo fronte per un motivo sentimentale,
emotivo. Per molti di noi l’antisemitismo, il razzismo non sono stati
mai elementi di riferimento.
“Il problema centrale oggi è un altro – conclude Mennitti - compreso che
An non è più il Msi e una volta stabilito che non c’è più il legame col
fascismo, nasce l’esigenza di stabilire cos’è la destra in Italia: cioè
cos’è la destra in un paese che durante tutto il secolo scorso ha avuto
difficoltà a definirla a causa del fascismo, in un paese in cui per
risalire ad un’esperienza davvero definibile di destra si deve tornare
all’epoca cavouriana. Oggi c’è bisogno di recuperare valori e rapporti
culturali, perché da noi non accade quello che accade in Francia, dove
ci sono intellettuali di sinistra che hanno ritenuto esaurito quel
percorso e si sono fatti sostenitori dei valori della destra. In Italia
abbiamo a destra personaggi che hanno maturato le loro impostazioni in
un contesto diverso e rivendicano ancora il contesto di appartenenza.
Noi di Ideazione invece rappresentiamo quella parte che ha tentato da
destra di elaborare l’evoluzione culturale e politica del centro-destra.
Un lavoro enorme che è ben lungi dall’essere esaurito”. E un po’ di
concorrenza all’interno del Polo non può che alimentare il dibattito:
culturale e non.
5 dicembre 2003
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