Oggi An è più democratica dei Ds
intervista a Ernesto Galli della Loggia di Cristiana Vivenzio

Sembrano lontani i tempi in cui Ernesto Galli della Loggia, in una famosa intervista a Lucio Caracciolo, affermava che infondo essere di destra ha significato essere contro il proprio tempo, in cui “tutti coloro che si sentivano di destra erano attratti dal gusto di immaginarsi soli contro il mondo”. Con la “svolta” di Fini, l’uomo di destra ha perso definitivamente il suo connotato eroico per essere catapultato nel “viziato” mondo della politica. Una scelta già avviata al congresso Fiuggi, cui il leader di An, con il suo viaggio in Israele, ha voluto imporre un’accelerazione. “Un investimento di lungo periodo sul suo futuro politico – dice oggi Galli della Loggia – ma anche in qualche modo su quello di Alleanza nazionale. E se è molto probabile che nell’immediato la scelta di Fini comporti un prezzo elettorale, guardando oltre si dimostrerà vincente, perché finisce di sdoganare An, dandogli la piena agibilità politica. Quella che finora non ha avuto”. Si riapre, dunque, l’annosa questione della legittimazione, che tanto peso ha esercitato ed esercita sul sistema politico italiano. “In effetti, finora la presenza di An in una coalizione di destra dipendeva dal buon volere di un partito alla sua sinistra. Oggi non è più così, il partito di Fini, completamente sdoganato dai retaggi del suo passato, può giocare a tutto campo la sua partita politica fino ai margini estremi del centro, forse anche qualcosa in più. E questa mi sembra un’operazione politica di grande rilievo”. Anche la sinistra aveva questo identico problema. “Ma l’ha risolto nel modo esattamente opposto. Fini ha detto: non sono più fascista, rinnego il fascismo. I diessini hanno detto: non siamo stati mai comunisti. Due modi diversi, lascio a chi legge stabilire qual è il più efficace…”

C’è chi sostiene che lo scotto politico dell’intera operazione potrebbe essere pagato in termini elettorali già sul prossimo banco di prova, quello europeo del 2004. “Ma se si volge lo sguardo ad un obiettivo di medio-lungo periodo Fini ha voluto fare di An un partito moderato nazionale non agli occhi del proprio elettorato, ma agli occhi degli elettori che finora non volevano riconoscersi nel suo partito. Coloro che, in qualche modo, conservavano ancora delle riserve sulla storia ideologica di Alleanza nazionale, quella che la legava al fascismo perché con quel fascismo non aveva rotto tutti i ponti”. Oggi non è più così. Oggi potenzialmente tutti quelli che non si riconoscono nella sinistra possono votare per il partito di Fini “e Fini può essere il capo di una coalizione che comprende tutta la destra, fino ai margini del centro e probabilmente anche qualche pezzo di centro. Se Fini non avesse fatto questa mossa, An sarebbe stato sempre un partito alle dipendenze del partito alla sua sinistra”. Non che i rigurgiti nostalgici siano da ignorare, ma “la componente di An che si riconosce nella destra post-fascista è elettoralmente trascurabile rispetto all’insieme dell’elettorato di destra… I residuati ideologici di An possono convincere qualche ragazzo. E una frangia elettorale di ragazzi e di vecchi fascisti non fa la differenza alle elezioni”.

Fini vuol cambiare volto al suo partito quasi imponendo una scelta dall’alto, forse proprio questo non è piaciuto e non piace alla base. “Sicuramente è stata una scelta di vertice, ma quale scelta decisiva non si consuma ai vertici? La Bolognina forse non lo fu? Qui il vertice è ristretto, perché in An non c’è un vero e proprio gruppo dirigente. E forse è molto scarno il gruppo dirigente che è d’accordo con Fini, e ciò fa apparire la sua scelta come personale, in cui è prevalente l’incidenza della volontà di Fini in quanto individuo”. E naturalmente questa scelta apre un grandissimo problema, quello dell’identità di Alleanza nazionale “che depurata dal suo legame col fascismo dovrà decidere se diventare un partito liberal-conservatore-nazionale o un partito liberal-moderato che guarda al centro”. Sembra una strada lunga e faticosa, basti pensare alle recenti posizioni sulla droga e sugli immigrati. “Quella sulla droga è una scelta che avrebbe potuto fare anche la signora Thatcher, che soltanto per la geografia politica italiana ha un sapore di reminiscenza fascista, ma è una scelta che avrebbe potuto compiere qualsiasi partito conservatore. Faccio presente che la signora Thatcher ha introdotto le pene corporali per un certo tipo di reati…”

La conta dei voti però mantiene sempre la stessa rilevanza ai fini politici. “Ma le fortune elettorali della destra non dipendono certo da questa mossa. Dipenderanno da circostanze generali che vanno ben aldilà delle scelte di Fini. Innanzitutto dipenderanno da quello che riuscirà a fare il governo Berlusconi”. Ma il lungo periodo può raccontare anche di una destra di cui Berlusconi non è più leader? “E infatti questa è una mossa fatta solo in funzione del dopo-Berlusconi. Così Fini si candida ad essere il vero rivale di Casini. Fino a ieri la partita tra Fini e Casini era una partita in cui poteva esserci solo un vincitore, Casini, perché aveva una carta in più, non aveva niente a che fare con il fascismo. E una democrazia occidentale non può essere governata da qualcuno che non abbia rotto tutti i ponti con l’esperienza del Ventennio”. Un augurio a questa destra: “Mi auguro che nasca un partito di destra, conservatore, liberale, che faccia posto all’anima cattolica, in quanto anima dell’Italia”. Un giudizio secco sulla scelta di Fini: “Io voto sì”.

5 dicembre 2003