“Gas-serra, basta con le mezze misure”
di Giorgio Bianco
Da diversi anni, ormai, al centro dei dibattiti sulle tematiche
ambientali si trovano le discussioni sul riscaldamento globale, tra le
quali spiccano importanti appuntamenti internazionali come la Conferenza
mondiale sul cambiamento climatico (Mosca, 29 settembre – 3 ottobre
2003), e la Nona Conferenza delle parti contraenti il Protocollo di
Kyoto (COP9), a Milano dall’1 al 12 dicembre. Dopo dieci anni di
discussioni, si è ormai giunti alla resa dei conti: le riduzioni delle
emissioni di gas serra, finora perseguite senza troppa convinzione
perfino dagli sponsor più accaniti, dovranno infatti necessariamente
decollare o essere accantonate. Il Protocollo, che prevede una
sostanziale riduzione delle emissioni di gas serra da parte dei paesi
industrializzati, entrerà in vigore novanta giorni dopo che sarà stato
sottoscritto da almeno 55 dei paesi firmatari della Convenzione UN-FCCC
(United Nations Framework Convention on Climate Change), purché tra tali
paesi siano compresi quelli industrializzati e ad economia in
transizione, in numero tale da rappresentare almeno il 55 per cento
delle emissioni complessive di anidride carbonica (riferite al 1990).
L’Unione Europea si è sempre mostrata nettamente favorevole, mentre gli
Stati Uniti hanno espresso chiaramente la propria contrarietà, così
come, nel corso del vertice di Mosca, la Russia. Appare allora evidente,
di fronte all’importanza della questione, riflettere attentamente sulle
implicazioni del Protocollo, sui costi e i benefici che la sua messa in
pratica verrà a determinare. Per questo, l’Istituto Bruno Leoni (Torino,
via della Consolata 12), in collaborazione con il Cespas e con il
patrocinio del ministero dell’Ambiente, ha organizzato per sabato 29
novembre un convegno intitolato “Dall’effetto serra al dirigismo
ecologico. Aspetti scientifici, economici e politici del riscaldamento
globale”. L’incontro è stato introdotto da Renato Angelo Ricci,
presidente onorario della Società Italiana di Fisica.
Il convegno, che cade proprio a ridosso della COP9, si è proposto di
dare particolare risalto alle voci scettiche riguardo ad una riduzione
forzata delle emissioni. In effetti, gli scienziati sono tutt’altro che
unanimi sulle cause del riscaldamento globale, e vi è chi nutre dubbi
perfino sulla sua stessa esistenza. Il dibattito sul riscaldamento
globale sembra non avere finora tenuto sufficientemente conto della
differenza tra effetto serra “antropogenico” ed effetto serra naturale:
quest’ultimo, infatti, non solo esiste da sempre, ma è addirittura
indispensabile alla vita sulla Terra. L’atmosfera respinge parte delle
radiazioni in arrivo dal sole (specie i raggi ultravioletti), mentre
trattiene parte di quelle che il globo emette. Così facendo, essa rende
la temperatura media più elevata (circa 15°C) e le escursioni termiche
più miti. Senza questo effetto serra, la temperatura media alla
superficie sarebbe pari a circa –18°C.
Nel corso della storia, la temperatura media del pianeta ha subito
notevoli variazioni, anche in tempi relativamente recenti: si pensi alle
tre “piccole età glaciali” del 520-350 a.C, del 500-750 d.C. e del
1500-1850, e ai due periodi caldi (200-400 d.C. e 1000-1300). Va inoltre
osservato che le osservazioni sistematiche della temperatura potrebbero
essere non abbastanza accurate: come ha osservato Franco Battaglia, “gli
unici dati attendibili sulle temperature medie globali si riferiscono
proprio solo agli ultimi 100 anni: non dovrebbe apparire strano che, se
uno comincia ad un qualunque istante di tempo, la temperatura globale o
cresce o decresce”. Per di più, gli andamenti dell’aumento della
temperatura media del pianeta misurata nell’arco dell’ultimo secolo sono
assolutamente discontinui: praticamente tutto il riscaldamento
verificatosi nel XX secolo (pari a circa 0,6°C) si è concentrato in due
lassi di tempo ben precisi: dal 1910 al 1945 e dal 1975 a oggi. Ma
questo mette in discussione la spiegazione ufficiale, in quanto le
emissioni di anidride carbonica da parte dell’uomo sono andate sempre
crescendo. Se vi fosse un rapporto di causa-effetto, la temperatura
media avrebbe dovuto aumentare con un andamento altrettanto regolare.
L’attribuzione all’uomo di un fenomeno come il riscaldamento globale, le
cui dinamiche non sono affatto chiare, è un’operazione che suscita
quantomeno perplessità.
Tutto ciò dovrebbe indurre a riflettere sull’opportunità della messa in
pratica di un provvedimento che, a fronte di una opportunità per lo meno
dubbia sul piano ambientale, presenta costi notevoli; è stato calcolato,
ad esempio, che l’attuazione del Protocollo nel Regno Unito
determinerebbe una crescita del prezzo del petrolio per riscaldamento
del 46%, della benzina e del diesel rispettivamente del 10% e del 13%,
mentre l’industria pagherebbe il gas naturale circa il 117% in più, e i
prezzi dell’energia raddoppierebbero. Il Pil subirebbe una diminuzione
fino al 4,5%, e non tornerebbe ai livelli di riferimento se non nel
2020. A causa degli aumenti del prezzo dell’energia, il potenziale
produttivo dell’economia scenderebbe. Per di più, la diminuzione dei
consumi potrebbe produrre una depressione nel breve termine: tra il 2008
e il 2010, il Regno Unito rischierebbe di perdere fino a un milione di
posti di lavoro. A fronte di queste considerazioni, il convegno milanese
dedicherà particolare attenzione proprio ai risvolti economici
dell’attuazione del Protocollo: è infatti prevista la presentazione del
libro “Dall’effetto serra alla pianificazione economica”
(Facco-Rubbettino), a cura di Kendra Okonski e Carlo Stagnaro, con
prefazione di Bjorn Lomborg.
5 dicembre 2003
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