Cosa vuol fare la destra da grande
di Alessandro Bezzi
Alla fine, ciò che appare evidente dentro la tumultuosa casa di
An è che le polemiche sulle dichiarazioni di Gianfranco
Fini, sul fascismo e sul male assoluto, sono state solo un pretesto. Nessuno degli
oppositori, in Alleanza Nazionale, aveva davvero sanguinato per lo
strappo più forte del partito dal suo retaggio post-fascista. Ma tutti,
almeno tutti quelli che avevano un conto aperto con il presidente, hanno
preso la palla al balzo per uscire allo scoperto e far emergere un
malcontento che celava da troppo tempo. Non parliamo ovviamente dei
militanti, specie di quelli di vecchia estrazione missina, cui ha dato
voce il ministro Mirko Tremaglia: per loro il disappunto è stato
comprensibile e umanamente rispettabile. Parliamo dei dirigenti come
Francesco Storace e Alessandra Mussolini che hanno inteso elevare il
loro dissenso a scontro politico fino ad assumere rispettivamente la
leadership dell’opposizione interna o il difficile compito di fondare un
nuovo soggetto partitico.
La posizione del governatore del Lazio, rimasto a condurre la sua
battaglia all’interno del partito, assume dunque maggior rilevanza.
Anche perché all’ombra dell’apparente scontro sull’eredità del fascismo
e sul destino grafico della Fiamma si gioca quello sostanziale sulla
natura (e quindi sul ruolo) che la destra italiana dovrà svolgere nei
prossimi anni. Chi banalizza il processo in atto semplicemente come una
partita aperta per il dopo Berlusconi rischia di non cogliere il
processo più profondo che muove un’intera comunità – il centrodestra nel
suo complesso – che ha capito di non poter esaurire la propria missione
politica nella pratica di una stagione governativa.
Ecco dunque che da un lato Gianfranco Fini impone un’accelerazione al
progetto di Fiuggi, che negli ultimi anni aveva subito una preoccupante
impasse, approfittando della storica visita ufficiale in Israele: sulla
linea indicata nel 1994, Alleanza Nazionale accentua il profilo di
destra moderna e democratica, tranciando ogni legame con l’eredità
fascista che aveva rappresentato parte importante nella fondazione del
Msi. Certo quell’eredità era andata appassendo con la pratica
democratica che il Msi aveva seguito negli anni della Prima Repubblica
ma di quello slogan almirantiano per per tanti anni aveva rappresentato
il manifesto missino (“Non rinnegare, non restaurare”) Fini ha
cancellato definitivamente la prima parte, togliendo An dall’ambiguità
di un rapporto irrisolto. E’ questione politica, non storica. Con la
visita in Israele Fini ha chiuso definitivamente i conti non con il
fascismo ma con il post-fascismo, aprendo alla nuova destra prospettive
più ampie. E’ Aznar il suo modello. Il Ppe lo sbocco finale, non un
partito democristiano come erroneamente pensa Storace ma la nuova casa
europea del centrodestra rimodellata nell’ultimo decennio con l’ingresso
dei conservatori inglesi e scandinavi, dei popolari spagnoli, di Forza
Italia e dal maggio 2004 di tutti i centrodestra dell’Europa
centro-orientale risorti dopo la caduta dei regimi comunisti.
An, secondo Fini, non può restare fuori da questo vasto processo
europeo. Nelle sue ambizioni c’è un partito che non vuol ridurre il
proprio ruolo a quello di copertura a destra di una coalizione italiana
a guida centrista. Quella che muove Fini non è solo un’ansia di
legittimità internazionale (che pure è presente) ma la voglia di
trasformare la sua leadership da marginale a centrale nel futuro
sviluppo della politica. Per una volta il leader della destra sembra
forzare e anticipare gli scenari futuri della politica italiana. Quanto
sinora realizzato con An è stato tutto sommato fatto inseguendo le
evoluzioni della storia, dalla caduta del muro di Berlino alla
Tangentopoli italiana.
Paradossalmente proprio Francesco Storace, che ha rinfacciato a Fini il
vassallaggio nei confronti di Silvio Berlusconi, rischia di disegnare
per An un futuro da comprimario. Coltivare l’orto di An, per quanto
divenuto più rigoglioso rispetto all’orticello del Msi, significa ambire
al massimo alla guida della Regione Lazio. Certo, il grintoso
governatore ha probabilmente ragione quando rimprovera Fini di non aver
coinvolto il partito nell’ultimo importante passaggio, di aver
intrapreso il viaggio in Israele senza comunicare a nessuno cosa sarebbe
andato a fare e cosa sarebbe andato a dire. Storace raccoglie un disagio
palpabile all’interno di An che vuol partecipare di più alle scelte
strategiche del vertice. E Fini sbaglierebbe a sottovalutare questo
disagio, perché alla Casa delle libertà non serve soltanto una destra
capace di interpretare il moderatismo conservatore ma anche un partito
politico vivo, nel quale ritrovare i luoghi ove rappresentare le proprie
idee, confrontarle e discuterle. Questo è un patrimonio che An può
offrire a tutta l’area politica. Ma è fondamentale non restare fermi a
contemplare i treni che passano. E che potrebbero non tornare più.
5 dicembre 2003
|