Cattivi pensieri. Carmagnola, un'espulsione opportuna
di Vittorio Mathieu

Mi occupai dell’Imam di Carmagnola un paio d’anni fa, su segnalazione di alcuni giovani del luogo. A Carmagnola nacque mio nonno e morì il mio bisnonno, per questo mi interessai, sebbene la mia conoscenza della cittadina si riducesse ad averla attraversata più volte in bicicletta. Notai subito, in ciò che mi si raccontava dell’imam, una posizione di vittimismo tracotante, tipica fra noi di alcune frange della sinistra, ma molto più diffusa fra i musulmani, quando Allah li mette alla prova con un potere più forte del loro (ad esempio, il potere degli Stati Uniti rispetto a quello di Saddam Hussein). 

Il Corano esercita un fascino tutto particolare perché mostra l’islamismo vincente contro ogni verosimiglianza umana. Ma non sempre la grandezza e misericordia di Allah si mostra immediatamente. A volte l’abilità dei suoi fedeli deve adoperarsi per vincere una guerra contro ostacoli su cui il trionfare sarà lungo e difficile, ma appunto perciò più significativo. Qui dobbiamo tener conto di una diversità tra il nostro tipo di fiducia nella Provvidenza e il loro. Per noi la Provvidenza si rivela, quando si rivela, facendo trionfare la verità. Per un musulmano la verità si costituisce quando c’è una manifestazione della Provvidenza, cioè la vittoria dei fedeli sugli infedeli. Noi pensiamo che vi sia anzitutto la verità, e che la Provvidenza ci metta alla prova tenendola nascosta più o meno a lungo. Per il musulmano la verità non c’è fin quando la fede non abbia trionfato.

Vano perciò andare a caccia di contraddizioni nelle parole e nel comportamento dell’imam di Carmagnola o di un qualsiasi altro luogo. Vano attribuirgli – non dico reati d’opinione, che non andrebbero attribuiti a nessuno – ma anche semplicemente opinioni, che non siano la fede in una potenza ultramondana, padrona assoluta del mondo. A chi, da sinistra, osserva che il provvedimento d’espulsione è arbitrario, si deve rispondere dandogli ragione: il provvedimento è arbitrario e deve essere tale. Non viola alcuna legge, ma non è l’applicazione di una legge. Non consegue ad un giudizio con cui si sia accertato anzitutto se l’imam abbia commesso qualche reato, per poi punirlo. Tra l’altro, se anche uno straniero commette un reato sul nostro territorio, la legge vuole che sia giudicato e sconti la pena qui (a nostre spese, purtroppo) e non che sia espulso. L’espulsione (a differenza dell’esilio) non è una pena; non è – o non deve essere – l’esecuzione di una sentenza, perché è un atto di imperio, dunque dell’esecutivo. Può essere opportuna o inopportuna, a prescindere dall’essere giusta, cioè meritata, o no. Nel caso in questione il mio parere è che fosse estremamente opportuna. Anche in funzione pedagogica.

Non so se atti del genere riusciranno a insegnare qualcosa alla controparte, ma, in ogni caso, servono a insegnare qualcosa a noi, alle prese con un nemico che non siamo noi a volere tale, perché è solo lui a voler nemici noi. Anche con i nemici può esserci reciprocità: un “ius belli ac pacis”. Ma la reciprocità deve, appunto, essere reciproca. Se qualcuno non l’ammette tra il fedele e l’infedele, è assurdo che il preteso infedele cerchi di imporgliela. Ancor più assurdo che se la lasci imporre da chi non ci crede, perché crede in tutt’altro. Come il terrorismo.

19 novembre 2003