Ue, la settimana orribile di Romano Prodi
di Stefano Caliciuri

L’europarlamento di Strasburgo ha celebrato la resa di Romano Prodi. Le aspirazioni condottiere dell’attuale presidente della Commissione europea, espresse enfaticamente con apposito Manifesto, si sono trasformate in semplici sogni velleitari. Inaccettabile ed irresponsabile sono gli aggettivi usati dal capogruppo del Ppe Hans-Gert Poettering di fronte all’assise plenaria, sostenendo il conflitto istituzionale che colpirebbe il professore bolognese nel caso in cui si presentasse tra i candidati delle prossime elezioni primaverili. La presidenza della Commissione implica una posizione super-partes: chiunque la ricopra non può e non deve inficiare nella politica del proprio paese. Soprattutto in una fase delicata come l’allargamento, in cui tutti i neo aderenti dovrebbero nutrire la piena fiducia di imparzialità nei confronti della presidenza dell’Unione. La stessa fiducia che, in caso di un mancato dietrofront da parte di Prodi, verrebbe meno dalla maggioranza dei gruppi comunitari. Partito Popolare Europeo su tutti. Se invece si dovesse avere la conferma che l’attuale presidente della Commissione rimarrà al suo posto, Poettering gli ha garantito il pieno sostegno sino alla naturale scadenza del mandato, nel novembre 2004.

L’attacco del capogruppo popolare aveva fatto seguito ad un altro buco nero della gestione Prodi: lo scandalo Eurostat. La Commissione di controllo del bilancio ha preteso chiarimenti sulla presunta frode collegata all’istituto europeo di statistica per la scomparsa di oltre 900 mila euro, destinati probabilmente a società ed associazioni “amiche” grazie alla collaborazione dell’Olaf, l’ufficio di controllo interno dei servizi della Commissione europea. Una faccenda poco chiara, legata ai nomi dei dirigenti Daniel Byk e Yves Franchet: secondo il loro memoriale, i vertici politici della Commissione conoscevano con esattezza i movimenti monetari. Tesi, invece, negata più volte da Prodi e compagni, ma la loro credibilità è oramai fortemente compromessa.

Il futuro politico di Romano Prodi appare oggi più che mai molto nebbioso, trovandosi ad un bivio tanto inevitabile quanto autolesionista: presentarsi come capofila del centrosinistra oppure mantenere ancora per dodici mesi la carica presidenziale? Una scelta che immancabilmente lo getterà nell’oblio popolare. Rinunciare al seggio parlamentare significa eclissarsi dal panorama politico, parcheggiandosi ancora un anno a Bruxelles per poi soccombere all’ombra del triumvirato D’Alema-Bertinotti-Marini; d’altro canto lasciare vacante la poltrona della presidenza significherebbe lanciare il guanto di sfida all’intera istituzione europea, che ovviamente sarà lieta di raccogliere. Un disegno che Prodi avrebbe voluto usare per catapultarsi verso il Quirinale, ma fortunatamente il colle è ben difeso da damigiane di olio bollente pronto per l’uso.

19 novembre 2003

stecaliciuri@hotmail.com