Affinità elettive dopo il tempo delle ideologie
di Vittorio Macioce

Qualche volta quel mondo ti sembra di riconoscerlo. Ci vedi alcuni romanzi che hai letto. Ascolti i suoni arabi o balcanici frullati da Battiato. C’è Corto Maltese con la sua “Ballata del mare salato”. C’è l’arrivo, in qualche bar di paese, della falange di “Space Invaders”, quei ranocchi extraterrestri stilizzati che scendevano giù senza tregua, e tu ti chiedevi, con i tuoi amici, all’alba degli anni ’80, se quella cosa con cui ti ostinavi a combattere si potesse chiamare flipper, o era meglio pensare ad un altro nome. Li chiamammo, all’inizio, giochetti elettronici, solo dopo arrivò dall’Oceano la parola videogame, più bella, più tonda, più sintetica. Ma quel mondo ti appartiene solo in parte.

Non hai avuto nostalgie in nero, e così l’unica Lacoste che non avresti mai indossato era proprio quella che i tuoi amici missini mostravano durante gli scioperi al liceo. Poi ad un certo punto vi siete incontrati. Non sul “Boia chi molla” o su “Europa nazione” e neppure sulla versione neo-futurista del movimento del Settantasette. Di certo non sui Ray-Ban. In un mezzogiorno d’ottobre incontrasti uno di quelli che sarebbe diventato un amico, un compagno di studi, di sogni, di lavoro. Era seduto da McDonald’s o da Burgy, a Roma, piazza Barberini. Ricordi solo poche parole, chiacchierando: “Sono un libero pensatore di destra”, disse. Pensasti: “E’ un fascista”. Avevate tutti e due ragione. Ma ciò che ci coinvolse non fu un libro o un moschetto, ma avere più o meno gli stessi vizi e le stesse passioni. Scusate, ma le affinità elettive nascono anche sui campi virtuali di “Sensible soccer”. E su tante altre cose, certo: da Popper a Re Cecconi, da Cèline a Silver Surfer.

Forse Luciano Lanna e Filippo Rossi hanno ragione, l’egemonia culturale della sinistra funziona nei salotti e nelle redazioni culturali dei giornali. Non è poco, fa un po’ schifo, ma c’è dell’altro. Ci sono le voci che disegnano “Fascisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sulla destra”. Frammenti di un viaggio che è poco definire post-fascista. Quel mondo non è un ghetto. Non lo è mai stato. E’ questo il centro del discorso di Lanna e Rossi. Ed hanno ragione. Come si fa a confondere un crocicchio con un ghetto?

24 ottobre 2003

vittorio.macioce@ilgiornale.it