Europee 2004, gli esperti dei poli ai nastri di
partenza
di Paolo Zanetto
Le elezioni europee sono vicine, e il dibattito politico mette al centro
la “lista unica”. Il sistema di voto proporzionale provoca
tradizionalmente grandi rivalità tra i partiti all’interno di una
coalizione. Con questa motivazione ufficiale, la maggioranza e ancor di
più il centro-sinistra cercano di aggregare tutti i partito sotto un
unico simbolo, senza competizione tra querce e cespugli. Altrimenti
arrivano le polemiche, la coalizione sembra debole, e si perde. Una
giusta considerazione. Ma non è tutto.
L’opposizione sa bene di dover sfruttare al meglio il suo asso nella
manica, il ritorno in campo politico italiano di Romano Prodi, campione
di europeismo dopo aver guidato per cinque anni la Commissione. Fu
proprio Prodi, insieme al suo fido amico e politologo Arturo Parisi, a
scommettere sull’importanza delle aggregazioni di liste nel mercato
elettorale. Alle Europee del ’99 i moderati del centro-sinistra avevano
studiato differenti nuove liste da presentare alle elezioni, sfruttando
la legge elettorale proporzionale: Centocittà, il movimento dei sindaci
guidato da Rutelli; L’Italia dei Valori, ovvero la lista Di Pietro;
Lista Prodi, per far presa in particolare sui cattolici. I tre promotori
si rivolsero all’istituto Abacus per uno studio del mercato elettorale.
Emerse un responso chiaro: gli elettori moderati volevano un’alternativa
credibile a Forza Italia e ai Ds, non certo l’ennesima offerta di
partitucoli. Con una perfetta operazione di marketing politico i tre
soggetti vennero fusi, e nacquero I Democratici. Che trionfarono con due
milioni e mezzo di voti.
Aggregare le liste attorno a un leader aiuta a far passare un messaggio.
Se il messaggio è quello giusto, la campagna elettorale è efficace.
Tutti ricordano gli slogan di Berlusconi sui manifesti 6 x 3 per le
elezioni politiche. Oggi l’Udc sembra pensare che il premier sia già
visto da tutti gli italiani come leader del centro-destra, senza per
questo dover creare una lista unica della Casa delle Libertà. E’
evidente che il ragionamento di Follini si basa in realtà sui sondaggi
che danno il suo partito in forte crescita rispetto alle ultime
elezioni. Ma può avere un senso. La maggioranza ha certamente un leader
forte e riconosciuto, e può affiancare alla sua immagine di leader la
forza dei simboli di partiti ormai ben noti agli elettori. Si chiama
brand awareness, ed è il motivo per cui si comprano i prodotti di marca
al supermercato, anche se costano un po’ di più. E’ una garanzia,
richiama una storia passata di fedeltà alla “marca”. Uscendo dal
linguaggio del marketing, Montanelli ricordava il senso di sollievo di
certi elettori quando alle urne trovavano lo scudo crociato Dc sulla
scheda.
Eppure una competizione tra partiti alle europee sarebbe una scelta poco
ortodossa in termini di strategia elettorale. Nel 2001 il centro-destra
vinse compatto, con manifesti elettorali che portavano solo l’immagine
di Berlusconi, con un piccolo logo della coalizione (dove si leggeva
solo la scritta “Berlusconi”), senza richiamo ai partiti. Si è creato un
vero e proprio “brand Berlusconi”, al di là delle liste che lo
sostengono. C’è chi dice che non si può più ritornare a quello spirito,
dato che il premier è solo a metà classifica nei sondaggi sulla
popolarità dei politici. Ma la contrapposizione con un leader credibile
come Prodi potrebbe far nascere agli elettori il dubbio che, dopo tante
piccole (e meno piccole) polemiche nella maggioranza, Berlusconi è un
leader debole. Un terribile sospetto, in un mercato elettorale italiano
che secondo tutte le rilevazioni è in cerca di una guida forte,
autorevole. Di un Berlusconi prima maniera.
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