Un matrimonio obbligato
di Gianfranco Morra

L’estate più calda – e quale! – degli ultimi anni ha messo in ebollizione i condomini della Casa delle Libertà. Proprio nel momento in cui non poche riforme stavano per andare in porto, i dissapori, le antipatie e talvolta anche i ripicchi tra i non magnifici quattro hanno agitato il panorama politico. Per la grande gioia dei partiti di centro-sinistra. Dunque anche fuori dell’Ulivo si litiga: mal comune, mezzo gaudio. Le divergenze recenti tra i quattro partiti della Casa non sono state poche: la legge Cirami, il lodo Maccanico-Schifani, l’indultino, l’immunità per le alte cariche dello Stato, le rogazioni all’estero, la grazia a Sofri, le pensioni, la legge sulle comunicazioni, lo speedy divorzio. Certo, l’agitazione della Casa non è stata casuale. Non è difficile collegarla al poco gratificante risultato elettorale del giugno scorso e alla imminenza di altre tornate elettorali, soprattutto quella europea, con un sistema proporzionale che chiede a ciascuno di scaldare i muscoli. Una preoccupazione comprensibile, che tuttavia è certo andata oltre le righe, rivelando un sicuro malessere nella Casa delle libertà.

Malessere della Lega, che esaspera un federalismo che sembra soprattutto la zattera di sopravvivenza di un partito regionalistico in continuo deperimento (oh, la frase infelice di Bossi: “Prima la devolution, poi la grazia a Sofri!”). Malessere nell’Udc, la cui comprensibile nostalgia per un revival della Dc e del centro quale partito garante esclusivo della governabilità lo ha indotto ad un movimentismo eccessivo ed eccessivamente polemico contro alcuni alleati, soprattutto sproporzionato rispetto alla sua reale forza, così diversa dal numero di parlamentari ottenuti con quel maggioritario, ch’essa ora rifiuta. Malessere in An, la destra democratica e riformista che non decolla. Anzi, divisa com’è tra una destra sociale, che per certi versi sembra piuttosto una sinistra nazional-popolare e cattolico-solidarista, e un liberalismo nazional-conservatore, che ai vecchi militanti missini non va giù e stentano ad accettare. Malessere di Fi, la sua difficoltà di trasformarsi da partito centrale, sostanzialmente – data la sua origine emergenziale – plebiscitario e leaderistico in un autentico partito popolare europeo, cioè liberale e cristiano presente e radicato sul territorio. Dire, come fa Gianfranco Fini, che se la Lega se ne va, la Casa sta bene lo stesso, oltre che affermazione inesatta è anche la défaillance di un leader, che di solito si è sempre mostrato moderato e accorto.

Preoccuparsi troppo di queste scaramucce sarebbe, in realtà, fuori luogo. La Casa delle Libertà reggerà ai temporali ed anche alle trombe d’aria, se ce ne saranno, soprattutto per il “soccorso rosso” che le viene da una mancata, per ora, alternativa di sinistra. L’Ulivo trova unità solo quando deve, con ogni mezzo, combattere Berlusconi. Altrimenti è fortemente conflittuale, per la compresenza di tradizioni ideologiche diverse: comunista, socialista, democratico-cristiana, ecologista. La forte maggioranza del centro-destra e la debolezza del centro-sinistra sono garanzie sufficienti per consentire alla Casa delle Libertà di terminare la legislatura. Ciò di cui occorre preoccuparsi è invece il confronto del 2006. Al quale il centro-destra deve arrivare con un capitale e un progetto. Il capitale si chiama riforme. Non già quelle riforme che possano essere lette come fatte ad personam, ma risposte sociopolitiche generali alla diversità radicale dell’oggi: fine dei blocchi contrapposti, avvicinamento e confusione delle classi, aumento dell’età media di vita e conseguente revisione pensionistica, sfida economica della globalizzazione, necessario compimento della democrazia col federalismo, pieno inserimento nell’Europa alla quale portare una propria identità, raggiungimento della governabilità con il premier eletto dal popolo, non dai partiti, trasformazione dell’istruzione in un sistema formativo che sia, insieme, di massa e di élite, di formazione e di professionalizzazione, modernizzazione del sistema dell’informazione, chiara e non punitiva soluzione dei conflitti di interesse, una insospettabile riforma della giustizia. Non che nulla sinora sia stato fatto, per la verità, ma meno sistematicamente che episodicamente.

Il progetto della Casa delle Libertà dovrà unire tutte e quattro le sue componenti, che trovano nel rifiuto di ogni residuo di gramscismo (nella cultura) e di socialismo reale (nella società) il loro punto di incontro. La Lega, che ha avuto il merito di introdurre il discorso sul federalismo, dovrà farlo convergere in un progetto di Italia federale. An ha una funzione insostituibile nella Casa: essere una destra democratica nel senso di difesa innovativa delle tradizioni popolari e della identità nazionale. L’Udc deve continuare nella sua scelta, coerente con quella di tutti i partiti del Ppe, che l’unica alleanza possibile è a destra, come peraltro ha sinora fatto – giusto che guardi con interesse ai popolari stanchi del “soviet”, ma il sogno di un centro cristiano maggioritario è utopistico. Le scaramucce potevano servire dentro la Balena Bianca per alzare la propria percentuale sul malloppo, oggi servirebbero solo a non avere nessun malloppo da dividere. Anche perché questo partito di centro, il primo italiano, c’è già. Si chiama Forza Italia e fa parte del Partito popolare europeo. Esso deve avere la forza di assumere e conciliare le tre anime federalista, nazional-popolare e liberal-cristiana (tre anime che sono in primo luogo dentro Fi) in un progetto di riforma che sappia recuperare insieme libertà, produttività e solidarietà. Le tre anime debbono, insomma, dar forma a un riformismo federale, ad un riformismo sociale e, infine, ad un riformismo liberale e cattolico-popolare. La volontà (e la prassi) riformista dovrà però prevalere sulle identità specifiche e sulle rendite di posizione. In tal caso le differenze di opinione diverranno arricchimento e non perdita di credibilità. E gli elettori vedranno tradurre in realtà il programma elettorale.

Il matrimonio a quattro deve insomma continuare, il gioco deve restare a quattro cantoni. Troppo scarsa è la differenza elettorale tra le due coalizioni (soprattutto se avremo una alleanza Prodi-Bertinotti, anticipata da quella che sottende la candidatura di Cofferati a Bologna, vera prova generale delle alleanze future). E le scaramucce, che certo nessuno ha inteso fare contro Berlusconi, ma solo come una “caccia del tesoro” per quando Berlusconi non sarà più in politica, sono certo lecite e anche inevitabili nel gioco politico, la cui legge è per natura quella dell’ “amico-nemico”. Ma possono anche condurre fuori strada. E di certo, come mostrano le indagini di opinione, fanno perdere qualche punto.

(da Ideazione 5-2003, settembre-ottobre)