Non è vero che la Terra scoppia
di Bjørn Lomborg

Si sente spesso parlare di sovrappopolazione, e il discorso è di solito accompagnato da fotografie a colori di enormi moltitudini ammassate le une sulle altre o di stazioni della metropolitana sovraffollate. Nel suo bestseller sull’esplosione demografica [The population bomb, Ballantine, New York, 1968] il famoso bioecologo Paul Ehrlich ha scritto: “A livello psicologico, l’esplosione demografica ha cominciato a palesarsi in una notte torrida e piena di cattivi odori a Delhi. Le strade brulicavano di gente. Gente che mangiava, si lavava, dormiva, litigava e gridava. Gente che infilava la mano nei finestrini dei taxi per chiedere la carità. Gente che defecava, gente che urinava. Gente appesa agli autobus. Gente che spingeva animali per le strade. Gente, gente, gente”. Il problema centrale, tuttavia, non è costituito dal numero delle persone. Molti dei Paesi a maggiore densità di popolazione si trovano in Europa. La regione più densamente popolata, l’Asia sudorientale, ha lo stesso numero di abitanti per chilometro quadrato del Regno Unito. L’Olanda, il Belgio e il Giappone hanno una densità molto superiore all’India, e la densità dell’Ohio e della Danimarca sono superiori a quella dell’Indonesia. Oggi tale punto di vista è condiviso da Ehrlich e da altri, ma altre due letture del fenomeno della sovrappopolazione si sono fatte strada. Una di esse evoca visioni di famiglie che muoiono di stenti, condizioni di vita avvilenti, ambienti miserabili e morti prema-ture4. Sono immagini reali, ma più che della densità demografica sono il frutto della povertà.

Un’altra interpretazione, oggi accolta anche da Ehrlich, è basata sulla sostenibilità della densità demografica: un Paese è sovrappopolato se, in una prospettiva di lungo periodo, la sua attuale popolazione non è in grado di mantenersi. Ma sembra perlomeno bizzarro sostenere che una popolazione dovrebbe essere in grado di sostentarsi sulla base delle risorse del territorio specifico in cui vive. Il concetto fondante di un’economia basata sul commercio prevede che la produzione non debba per forza avvenire fisicamente nel luogo della domanda, bensì laddove è più conveniente che avvenga. E’ inoltre importante sottolineare che in futuro la densità demografica delle campagne non aumenterà, poiché la maggior parte dell’incremento interesserà le città. Nei prossimi trent’anni la popolazione rurale globale rimarrà quasi invariata, tanto che entro il 2005 il 97 per cento dell’Europa sarà meno densamente popolato. Nel 2007 per la prima volta nella storia, la popolazione delle aree urbane supererà quella delle aree rurali. 

La megalopoli è il male?

Nel 1950 New York era l’unica cosiddetta megalopoli, con oltre 10 milioni di abitanti; Londra la seguiva dappresso con 8,7 milioni9. Oggi esistono diciannove megalopoli e le Nazioni Unite prevedono che ce ne saranno ventitré nel 2015: Tokyo e Mumbay (la ex Bombay) saranno ai primi posti della classifica con 26,4 e 26,1 milioni di abitanti. Di queste ventitré megalopoli, diciannove saranno situate nelle regioni meno sviluppate. L’urbanizzazione sarà più accentuata nei Paesi in via di sviluppo, ma in realtà il fenomeno segue la tendenza dei Paesi avanzati verso una concentrazione urbana sempre più marcata: sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo industrializzato la popolazione urbana rappresenta oggi in media il 75 per cento circa. Mentre nel 2030 la popolazione delle aree urbane dell’Occidente avrà raggiunto l’83,5 per cento, tale aumento sarà limitato a percentuali tra il 40 e il 56 per cento nei Paesi in via di sviluppo. Si sente spesso affermare che la città abbassa la qualità della vita. In un noto testo sull’ambiente si legge che “tanto i Paesi ricchi quanto quelli poveri non sono in grado di rendere confortevoli gli insediamenti ad alta concentrazione di abitanti. La gente vive in condizioni deplorevoli, senza strutture idriche e igieniche adegua-te. Si tratta di un classico esempio di ragionamento sbagliato: è vero che, secondo gli standard occidentali, nelle baraccopoli la gente conduce una vita miserabile, ma il punto è che perfino lì si vive meglio che nelle zone rurali. 

Nelle aree ad alta densità di popolazione si riduce l’incidenza delle malattie infettive più gravi, quali malaria e malattia del sonno, poiché gli edifici, sorgendo fianco a fianco, lasciano meno spazio libero per gli acquitrini in cui prosperano mosche e zanzare. Inoltre, strutture idriche, sistemi fognari e servizi sanitari sono di gran lunga migliori nelle aree urbane che in quelle rurali. In città è molto più facile avere accesso all’istruzione: nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo il dislivello tra aree urbane e aree rurali in questo settore supera il 10 per cento. E infine, gli abitanti delle città, in media, si alimentano meglio e in modo più equilibrato. Di fatto, il problema della povertà nel mondo interessa soprattutto le regioni rurali, mentre città e metropoli sono i centri del potere, in cui ha origine la maggior parte della crescita economica. Nei Paesi in via di sviluppo le aree urbane, in cui vive appena un terzo della popolazione, producono il 60 per cento del Pil. Il World Resources Institute è giunto alla conclusione che “le città sono in crescita perché forniscono, in media, vantaggi sociali ed economici maggiori rispetto alle aree rurali”.

26 settembre 2003


(da Bjørn Lomborg, L’ambientalista scettico. Non è vero che la Terra è in pericolo, edizione italiana, traduzione di Valentina Pecchiar, Mondadori, Milano 2003, per cortese concessione dell’editore).

(da Ideazione 4-2003, luglio-agosto)