Italia-Germania: nelle pieghe di una crisi diplomatica

Per misurare il risentimento dell’europarlamentare dell’Spd Martin Schultz alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi è come se, davanti alle insolenze di un parlamentare italiano, il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder avesse replicato, magari con sorriso sornione sulle labbra: “So che da noi in Germania un produttore sta realizzando un film sulle stragi di mafia in Sicilia. La proporrò nel ruolo del Padrino. Lei è perfetto”. Ne saremmo risentiti? Beh, è esattamente quello che è successo in Germania, dove il settimanale di Amburgo Der Spiegel, bibbia dell’intellighentia snob (e di sinistra) del paese, ha pubblicato un lungo, articolato e faziosissimo servizio per illustrare il semestre di presidenza italiano. Il tutto evidenziato da una copertina che mette in primo piano Silvio Berlusconi, seduto su un trono con cipiglio da mafioso, e il titolo: Der Pate, Il Padrino. Per evitare che qualche distratto lettore potesse non cogliere appieno il messaggio, un asterisco rimanda a una frasetta in calce che rinforza: da oggi anche nell’intera Europa.

Ora vallo a spiegare agli italiani che lo Spiegel non è più un autorevole e solido settimanale: il calo di vendite dovuto a una formula giornalistica da anni Settanta e il calo di introiti pubblicitari dovuti alla lunga e pesante crisi economica che attraversa la Germania ne hanno ridotto dimensioni redazionali, foliazione e, di conseguenza, influenza. Incalzato da una concorrenza più agile (Focus, il rinnovato Stern) il prestigioso Der Spiegel si è riparato dietro una corazza ideologica che ha ulteriormente sbilanciato a sinistra il tradizionale baricentro socialdemocratico. Insomma è un giornale di parte, quasi un piccolo inserto rispetto al grande settimanale che vent’anni fa mise per la prima volta l’Italia in copertina con un piatto di spaghetti e una P 38 fumante.

Italia e Germania sono legate da un rapporto di odio e amore intrecciato con il filo di antiche e nuove passioni, che scivolano sulla lama di equivoci e fraintendimenti. Politica e costume, cultura e sport, storia e commerci ci legano reciprocamente, annoverando ricordi piacevoli e tragici: il comune percorso verso l’unità nazionale ma anche l’asse Hitler-Mussolini, la solidarietà democratico-cristiana che è stata alla base di molte tappe di crescita dell’Europa postbellica e il terrorismo rosso che insanguinò i due paesi negli anni Settanta, l’esodo di emigranti dall’Italia alla Germania e il controesodo di turisti che fecero della Riviera romagnola una colonia estiva tedesca. Poi Italia-Germania 4-3 e Michael Schumacher, le gemelle Kessler e la “Dolce Vita” quell’italian way of life che è diventato vocabolo ufficiale nei Lexikon e incarna il modo leggero, rilassato e solare di affrontare la vita che i tedeschi immaginano sia proprio degli italiani. E che cercano di replicare a casa loro. La giornata tipo di un tedesco benestante del ventunesimo secolo comincia con uno schiumante cappuccino preparato dalla caffettiera italiana, prosegue con un pranzo leggero a base d’insalata condita con olio mediterraneo e si conclude immancabilmente ai tavoli di uno delle migliaia di ristoranti italiani di gran moda: pasta o carne, contorno, vino rosso, dolce, caffè e grappa. Ah, il paese dove fioriscono i limoni! Vaglielo a spiegare agli italiani, che immaginano il collega tedesco sepolto da una montagna di crauti e salsicce. Gratta gratta poi scopri che la Dolce Vita è più di casa in Germania, con un pacchetto ferie e festività annuale che supera di gran lunga il nostro e un numero medio di ore lavorative molto inferiore a quello italiano. Vaglielo a spiegare ai tedeschi che si credono ancora degli stakanovisti.

Da qualche tempo la Germania ha riassaporato i morsi della crisi economica. La più grave, la più persistente, la più cupa da quando il paese si rimboccò le maniche dopo la seconda guerra mondiale. I disoccupati si gonfiano mese dopo mese così come il senso di insicurezza che è il vero veleno sottile che mina la compattezza sociale della Germania. Ne risente anche la vita politica, divenuta tumultuosa e aggressiva in coincidenza con il trasloco dei palazzi del potere dalla tranquilla Bonn alla turbolenta Berlino. Destra e sinistra si azzannano anche lì, né più né meno che da noi e l’ultima campagna elettorale è stata tra le più violente degli ultimi decenni. Anche lì un blocco politico-mediatico ha reso la cavalcata del conservatore Stoiber sempre più affannosa. Anche lì lo scontro diretto tra i candidati alla Cancelleria è scivolato in una diatriba personale: i manifesti elettorali del leader dei conservatori erano puntualmente imbrattati da epiteti che oscillavano tra il “maiale” e il “nazista”. Certo, si guardavano bene dall’accusarlo nei dibattiti pubblici, ma il livello di contrapposizione e di odio era giunto a livelli di guardia. Insomma, il paese con cui ci stiamo in questi giorni confrontando in una crisi diplomatica della quale avremmo volentieri fatto a meno, non ha un volto immacolato e anzi subisce il logorio di una crisi che si estende dall’economia alla politica, alla società. Anche la Germania è sotto stress e fa fatica a capire se stessa, figuriamoci un paese complesso come l’Italia. Discorsi come quello di Martin Schultz, francamente inaccettabili nei toni specie se rivolti verso un capo di governo straniero, sono il prodotto di una Germania insicura. Berlusconi è incautamente caduto nella trappola.

L’incidente che ha coinvolto il premier italiano e il politico tedesco nella bollente seduta di Strasburgo danno però la misura di quanto sia strana questa Europa che si vorrebbe più vicina e più coesa, eppure avanza ancora al ritmo dei luoghi comuni: il tedesco kapò e nazista, l’italiano mafioso e truffatore. Crauti e pizza, birra e vino, wurstel e mandolino: la saga del cliché. Ecco perché sbagliano i commentatori italiani a vergognarsi delle esternazioni del proprio presidente del Consiglio: non c’è un modo europeo di stare a tavola composti perché ogni europeo vede se stesso come un perfetto damerino e il vicino di casa come un povero scimmione. Nel migliore dei casi da educare. L’Europa di Strasburgo e di Bruxelles non è solo una grande fabbrica che produce burocrazia, direttive, raccomandazioni. E’ anche un luogo moltiplicatore di stereotipi, nel quale non è vero che tutto si mescola: gli italiani stanno con gli italiani, i tedeschi con i tedeschi, gli inglesi con gli inglesi e i francesi con i francesi, attenti questi ultimi a non mescolarsi con i belgi che pure parlano la stessa lingua. Chissà che per fare davvero l’Europa non si debba attendere che giunga a posti di responsabilità la “generazione degli Erasmus”. (p. men)

4 luglio 2003

pmennitti@ideazione.com