Il governo alla prova dei fatti
di Pierluigi Mennitti

La sinistra che appena una settimana prima aveva festeggiato, con qualche eccesso di tono, la vittoria elettorale nella limitata tornata amministrativa ha vissuto con animo sofferente il fallimento dei referendum sull'articolo 18. Bertinotti e i "correntisti" ds hanno ammesso la sconfitta, il primo con la dignità che gli è unanimemente riconosciuta, i secondi con qualche arroganza e senza accenno di autocritica. Il resto di quello che per comodità continuiamo a chiamare Ulivo ha fatto il pesce in barile. S'è appropriato all'ultimo momento della bandiera dell'astensionismo, rinnegando i chilometri di marcia percorsi nelle manifestazioni della Cgil ed evitando di spendersi per una causa nella quale oggi dicono di non credere più. Si evidenzia così la vena strumentale che ha accompagnato le battaglie politiche di parte dell'opposizione, cui è mancata la forza di contrapporsi costruttivamente al governo, in nome di un proprio progetto di società alternativo a quello di Berlusconi. Idee per realizzare qualcosa, non solo per opporsi alle iniziative del governo.

Il fallimento referendario, così, restituisce ossigeno alla maggioranza, apre nuove prospettive legate soprattutto a quelle riforme economiche promesse in campagna elettorale. Su un punto assai simbolico, quello dell'articolo 18, l'elettorato ha detto che è disposto a rimettere mano non tanto alle tutele che accompagnano la vita dei lavoratori, quanto alle gabbie che limitano la libertà delle imprese. L'indicazione è ancor più chiara in quanto giunge in un periodo difficile per l'economia italiana ed europea. Normalmente, in fasi come questa, prevale nell'elettorato un senso di sfiducia nelle regole del mercato e si prediligono le tutele assistenziali più disparate. Invece proprio in tempi di fiacca, gli italiani preferiscono rilanciare, affidando alla classe politica un messaggio neppure tanto velato: liberate i mercati, invece di chiuderli. A cominciare da quello del lavoro.

Ora la mano torna alla maggioranza che non sembra al momento dare buona prova di sé nel riflettere pacatamente sul risultato delle amministrative. Ripicche fra i partiti, rimbalzi di responsabilità, interviste roboanti lasciano malinconicamente l'amaro in bocca. Dalle amministrative e dai referendum sono giunti due messaggi che spingono il governo verso tutt'altra direzione che quella del litigio. E cioè rimboccarsi le maniche e mettere in campo le riforme economiche previste nel programma elettorale. E' una esigenza non solo italiana, quella di rivedere lo Stato assistenziale, tanto è vero che altri governi europei sono in queste settimane impegnati in bracci di ferro con le controparti sindacali. L'Italia, che ha vissuto i suoi conflitti nei mesi passati, può arrivare con un po' di vantaggio alla meta, realizzando un modello equilibrato di sicurezza sociale sostenibile, che alle tutele irrinunciabili affianchi maggiori libertà per le attività imprenditoriali. La ripresa del dialogo con i sindacati, l'approvazione due settimane fa del decreto attuativo della legge Biagi sul mercato del lavoro, il nuovo round di consultazione delle parti sociali vanno nella direzione giusta. Se tutto andrà come previsto, in un clima di collaborazione, entro un paio di mesi si potrebbero varare quelle novità tanto attese: modifica del collocamento pubblico, introduzione di nuovi modelli contrattuali, riforma delle collaborazioni coordinate e continuative.

Il messaggio degli elettori è chiaro verso il governo: meno polemiche, più capacità operativa. Il semestre di presidenza dell'Unione Europea che verrà assunto dall'Italia all'inizio di luglio rappresenta un banco di prova decisivo. Tra gli obiettivi della presidenza italiana, le riforme liberali nel campo economico-sociale, sulla scia delle direttive di Lisbona, sono un punto fondamentale per accompagnare e rafforzare la ripresa di cui gli esperti già scorgono i segnali. Roma ha le carte in regola per spingere su questo fronte se è vero che il presidente della Commissione Europea Romano Prodi, sempre restio a far complimenti al governo Berlusconi, ha inserito l'Italia nel quartetto di nazioni che stanno lavorando con più efficenza alle riforme strutturali (le altre sono Gran Bretagna, Francia e Germania). Tutto sta a vedere se la maggioranza riuscirà a ritrovare la sua compattezza e a bloccare le tentazioni suicide che di tanto in tanto emergono dalle dichiarazioni avventurose di alcuni suoi esponenti. Come dimostra il dato amministrativo, sarebbe illusorio cullarsi ancora sulle divisioni di un centrosinistra che ha comunque già avviato la sua fase di riorganizzazione.

20 giugno 2003

pmennitti@ideazione.com