Tutti i numeri della verifica
di Giuseppe Pennisi
In questi giorni è in corso la “verifica” del programma di governo tra
le forze politiche che esprimo la maggioranza del Parlamento e
l’Esecutivo. Non è un passaggio da drammatizzare: in tutti le democrazie
parlamentari a governi di coalizione avvengono “verifiche” di questa
natura, principalmente dopo “mid-term elections” in cui spesso chi è al
governo è leggermente sfavorito rispetto a chi è all’opposizione.
Tuttavia, ciò avviene in un contesto economico molto differente da
quello ipotizzato due anni fa quando, proprio in questi giorni, veniva
formato il secondo governo Berlusconi. Il nodo centrale è la
competitività del sistema.Vediamo i dati al 2001 (peraltro ancora i più
completi): in termini di competitività complessiva, per Merril Lynch
l’Italia si collocava al 17simo posto in classifica su 18 paesi; per il
World Economic Forum, il nostro paese si piazzava alla 24sima posizione
su 58 paesi; per l’IMD eravamo 32simi tra 49 paesi censiti. In
quest’ultima graduatoria, fatto 100 il punteggio degli Usa, quello
assegnato all’Italia era pari a 49,58 – una media ponderata calcolata
tra il punteggio in: “condotta economica” (25simo posto con 38,08,
contro il 100,00 degli Usa), “efficienza di governo” (40simo posto con
19,68 contro il 74,17 di Singapore, primo in classifica), “efficienza
delle aziende” (27simo posto con 34,10 contro il 76,81 degli Usa),
“infrastrutture” (28simo posto con 32,16 contro il 75,20 sempre degli
Usa).
In materia di infrastrutture, su 49 paesi, eravamo sedicesimi in termini
di densità di traffico ferroviario, 15simi per rete autostradale, 11simi
per traffico aereo. Guardando ai costi energetici, l’Italia si collocava
al 44simo posto (sempre su 49). In materia di funzionamento del mercato
del lavoro, avevamo un punteggio di 3,3 decimi (gli Usa erano quasi a 9
decimi e la media Ue si poneva su 6,5 decimi). L’incidenza delle spese
per la ricerca sul Pil era appena dell’1%, rispetto al 2,5% della media
Ue e al 5% circa degli Usa; negli anni Novanta, su 18 paesi siamo stati
il 15° in termini di brevetti registrati a livello internazionale.
Appena il 10% delle imprese, facevano ampio uso di tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, rispetto ad una media prossima
al 60% degli altri paesi. C’è, però, un nocciolo duro di misure che
possono diventare il cuore della “verifica”: sono, in gran misura,
interdipendenti e si rafforzano comunque a vicenda, pur se, nella
vulgata giornalistica e delle aule parlamentari, vengono, di norma,
mostrate distinte. Riguardano la net economy (e l’e-Government), la
ristrutturazione della spesa pubblica e la previdenza.
Finita la bolla finanziaria della new economy, la net economy e
l’e-Government, al centro della maggiore rivoluzione tecnologica degli
ultimi 40 anni, sono la carta su cui scommettere per modernizzare
attività produttive e pubblica amministrazione; sono anche il perno per
il riassetto della previdenza su conti individuali (come previsto dal
sistema contributivo a ripartizione della riforma del 1995) e per
riorientare il sociale. La net economy e l’e-Government, tuttavia, non
possono decollare senza una ristrutturazione della spesa pubblica che
ponga freni a quella di parte corrente per rilanciare quella in conto
capitale (dimezzata, in termini di incidenza sul Pil, negli anni
Novanta) con accento sulla formazione di capitale fisico, capitale
tecnologico e capitale umano. La ristrutturazione della spesa pubblica
richiede, a sua volta, di rivedere la previdenza (sotto il profilo della
sostenibilità e della equità inter-generazionale ed
infra-generazionale). Sotto il profilo operativo, la prima misura per
dare corpo al cuore della “verifica” consiste nel concludere
speditamente il dibattito sul disegno di legge delega sulla previdenza,
da circa un anno e mezzo in Parlamento e dare alta priorità agli altri
due punti del triangolo nel documento di programmazione economica e
finanziaria, in preparazione in queste settimane.
20 giugno 2003
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