Amministrative 2003. L’ingrata sorte di Ceausescu

Nicolae Ceausescu, il satrapo comunista che ha governato la Romania per 22 anni riducendola a un campo di concentramento a cielo aperto, è divenuto un’icona della nuova sinistra giustizialista di casa nostra. Il più ridicolo caso di revisionismo storico spacciato per via mediatica prese le mosse nelle aule del tribunale di Milano, dove l’imberbe figlio di un magistrato si scagliò contro il presidente del Consiglio italiano in carica per apostrofarlo con l’ormai nota ingiuria di “buffone” (derubricata poi vigliaccamente in quella meno imbarazzante – e meno querelabile – di “puffone”). Il giovane, eccitato da cotanto ardire di cui il babbo sarebbe andato orgoglioso, completò l’opera con la seguente frase: “Berlusconi, farai la fine di Ceausescu”.

Facile ricordare che Nicolae Ceausescu venne arrestato e quindi fucilato nel dicembre 1989 da un fantomatico comitato di liberazione rumeno che, secondo le più recenti ricerche storiografiche, si sovrappose alla rivolta anticomunista in corso per esautorarne la valenza antiregime e depotenziarne la carica rivoluzionaria. Si trattò dunque di un golpe comunista all’interno di un regime comunista, in un gioco di scatole cinesi, anzi rumene, che permise alla cricca comunista cresciuta all’ombra di Ceausescu di sopravvivere al potere sacrificando il vecchio satrapo: liquidati lui e la moglie in uno dei processi sommari più vergognosi della storia del Novecento, i comunisti del comitato rimasero in sella appropriandosi della “revolutia”, e diventando poi post-comunisti, quindi socialisti, oggi filoamericani e filoeuropei. Mai indagare troppo tra i fantasmi dei Balcani (e i vampiri della Romania).

Recuperata questa finestra storica tra le più inquietanti del passato comunista, risulta dunque un po’ risibile che l’appellativo di Ceausescu verso il premier italiano venga ancora una volta rispolverato da un esponente postcomunista del livello di Piero Fassino, non nuovo a scoppi di ira improvvisi che sorprendono quanti sono abituati a vederlo in sobrie e pacate performance politiche. Fassino non ha gradito un “pastone” di commento del Tg1 sui risultati delle amministrative e ha accusato il direttore della testata di realizzare un Tg servo, degno di quelli rumeni nell’era di Ceausescu. Non entriamo nel merito del servizio incriminato, perché non lo abbiamo visto. Altrove è possibile leggere della polemica, delle accuse di esponenti della sinistra e della difesa del direttore Clemente Mimun. Ci fa sorridere il tentativo dei postcomunisti italiani di smarcarsi dal proprio passato politico non attraverso una seria riflessione sulla lunga (e tragica) esperienza comunista ma attraverso l’escamotage di affibbiare agli avversari riferimenti e simboli che fanno parte del proprio (non esaltante) bagaglio storico. E’ una scorciatoia neppure tanto furba. Ci fa un po’ meno sorridere che la stessa accusa rimbalzi dalle esagitate aule dei tribunali alle scomposte stanze della politica nel momento in cui da queste stesse stanze partono inviti ad abbassare i toni del confronto. Strano destino quello di Ceausescu: dopo aver distrutto un popolo e una nazione, gli è toccato servire due cricche diverse di postcomunisti. (p. men)

27 maggio 2003

pmennitti@ideazione.com