Rai: cronaca di uno scontro annunciato 
di Paola Liberace

Niente di nuovo sotto il sole: il nuovo direttore generale e il nuovo presidente Rai sono ai ferri corti, per motivi più o meno plausibili, più o meno condivisibili, dopo pochissimo tempo dalla nomina. E tutti di nuovo a interrogarsi su come si possa scongiurare l’ennesimo conflitto aziendale che precipiterebbe la Rai in quel “crollo” paventato martedì scorso proprio da Lucia Annunziata davanti alla Commissione di Vigilanza. 

In realtà, una soluzione tattica, legata alla revisione delle posizioni e dei meccanismi di nomina, non esiste, e non può esistere, perché il contrasto stesso è strutturale. I tradizionali dissidi tra le due figure che reggono l’azienda televisiva di Stato non derivano dall’orientamento politico: ne è stata prova evidente la lontananza tra Baldassarre e Saccà, testimoniata in ultimo dal disaccordo sulla trasmissione della manifestazione per la pace e dal caso d’Eusanio. Ma non è nemmeno la diversità di peso o di stipendio a determinare la competizione sui poteri. Dopo l’accentramento della direzione bernabeiana, com’è noto, l’equilibrio tra le due cariche – espressione dei due principali partiti di maggioranza – è stato messo in discussione dalla svolta della cosiddetta “legge Agnes”, che politicamente consolidava il potere quasi assoluto del direttore generale. Ma gli equilibri non tardarono a cambiare ancora, con la presidenza di Letizia Moratti, che restò saldamente in sella “seppellendo” due direttori generali, tra cui Billia.

La situazione odierna è la più delicata tra tutte quelle descritte: il presidente è stato scelto invocando un principio sinora mai seguito nella storia della Rai: quello dell’appartenenza alla minoranza come titolo di garanzia. Questa posizione non ha fatto che rafforzare l’evidenza mediatica del presidente, già piuttosto evidente da qualche anno, con il risultato di scatenare polemiche, se ne vengono disattese le indicazioni, senza stabilire il fondamento sul quale decidere se le indicazioni stesse siano o meno opportune in un simile ruolo. Non è stata messa fattivamente in discussione – con una proposta politica - la sostanziale estraneità del presidente alle decisioni sul destino dell’azienda; il carattere della scelta del direttore generale, d’altro canto, sembra autorizzare proprio queste decisioni, non più improntate al puro mestiere televisivo. 

Non si tratta di presupposti per la difficile convivenza, ma del risultato di uno stato di fatto soggiacente, poco legato alle scelte contingenti. Uno stato di fatto che solo una decisione schiettamente politica potrebbe mutare, definendo – prima dell’appartenenza all’uno o all’altro schieramento – l’identità delle due cariche, finora in bilico tra lo strategico e il rappresentativo, tra il politico e l’operativo, e con essa la direzione che l’azienda stessa deve intraprendere, che resta al di là delle formule il vero nodo irrisolto.

9 maggio 2003

pliberace@yahoo.com