L’ultima spiaggia del giustizialismo
di Domenico Mennitti

Sono tutti allarmati ( qualcuno si dichiara persino indignato) per il fatto che Berlusconi si sia presentato in Tribunale ed abbia detto quel che molti avevano dimenticato sul caso Sme. La crisi del sistema delle partecipazioni statali aveva determinato parlamento e governo ad avviare il processo di privatizzazione delle imprese pubbliche e la cosa fu presa come l’occasione per procurare affari clamorosi a pochi e noti imprenditori, piuttosto che come il rimedio per alleggerire il deficit pesante che l’economia pubblica riversava sul paese.

Non è vero che l’operazione patrocinata da Prodi e diretta a favorire De Benedetti non suscitò obiezioni. Se ne parlò in termini polemici anche allora e tutti conoscevano i dettagli di un burrascoso incontro “riservato” che si svolse tra Craxi e Prodi, che non produsse effetti perché il presidente dell’Iri sostenne con determinazione il suo punto di vista. Della questione s’interessò anche la magistratura, ma l’indagine fu bloccata sul nascere e rimase ferma anche dopo, all’epoca di Tangentopoli, quando Di Pietro interrogò Prodi e lo incalzò in maniera così assillante ch’egli, appena fuori, scese le scale del Palazzo di Giustizia di Milano, si precipitò a Roma, incontrò vari personaggi fra i quali il capo dello Stato e si determinò a guidare l’Ulivo per la tornata elettorale del 1996. Non è quindi vicenda che si sia svolta senza patemi e gli effetti che ha prodotto non furono i primi ipotizzati (il grazioso omaggio a De Benedetti), ma non si può dire che siano stati ininfluenti sul percorso che la politica italiana ha seguito negli ultimi dieci anni.

La vertenza, ridotta in soldoni, si può così sintetizzare: l’Iri aveva deciso di vendere a De Benedetti la Sme per un importo complessivo di poco inferiore ai cinquecento miliardi; l’operazione fu bloccata da un’offerta molto più cospicua di una cordata d’imprenditori che comprendeva Berlusconi; alla fine dalla vendita della società le casse pubbliche hanno incassato oltre duemila miliardi. Sull’argomento sono stati pubblicati servizi giornalistici ed anche libri. Fra i più ricchi di notizie segnaliamo la “Storia delle partecipazioni statali” di Massimo Pini, che all’epoca era nel consiglio di amministrazione dell’istituto e riferisce che la pratica seguì un iter molto particolare. Pini sostiene che Prodi si comportò in maniera tale da lasciare il consiglio all’oscuro dell’operazione sino a quando la trattativa con De Benedetti non divenne pubblica per iniziativa di altre fonti. Comportamento “riservato” che colse di sorpresa anche il governo, il quale – secondo una recente testimonianza pubblicata sul Foglio dall’allora ministro Forte – ne discusse a cose fatte, nonostante l’autorità politica conservasse sulle imprese pubbliche una funzione di indirizzo e di controllo.

In verità nessuno immaginava che questo argomento avesse potuto costituire un ingombro sul cammino politico di Berlusconi: l’opinione corrente era che, se mai, avrebbe potuto creare imbarazzo a Prodi. E che la questione sarebbe passata agli archivi fra le tante della cosiddetta “prima repubblica”rimaste fuori dai riflettori. Invece a Milano, una volta giunti a conclusione tutti i filoni d’indagine riguardanti il Cavaliere, questa è l’ultima vertenza rimasta aperta e perciò si è trasformata in una sorta di ultima raffica giustizialista. Di qui la reazione del capo del governo che sembra essersi reso conto d’essere rimasto intrappolato dentro una interpretazione tecnico-giuridica, mentre la partita che si sta giocando è completamente politica. Quindi ha smesso di pensare a soluzioni fondate su interventi legislativi parziali ed ha riportato l’argomento sul piano che gli è proprio, quello dei rapporti fra i poteri dello Stato, in particolare fra politica e giustizia. La nostra opinione è che non si chiuderà la transizione se non si scioglierà questo nodo che è stato alle origini della nuova fase e che ancora condiziona l’evoluzione del quadro politico ed istituzionale. La differenza è che nei primi anni Novanta la politica era debole e in ritardo culturale; oggi è disorganizzata, in ritardo sulle riforme istituzionali, ma consapevole del tempo che vive e della esigenza di recuperare il suo ruolo e la sua dignità. La Dc ed il Psi non offrirono resistenza e valse il principio del “si salvi chi può”. E, come puntualmente accade, quando un potere è debole, si fa avanti un altro che occupa lo spazio lasciato libero. Così è accaduto in Italia; così vorremmo non accadesse dieci anni dopo quella stagione che non fu una “primavera”, come poi i fatti hanno dimostrato.

Chi oggi si meraviglia delle dichiarazioni di Berlusconi dimostra di non conoscere l’uomo e la sua straordinaria vitalità. E di non aver compreso la natura del movimento politico che ha fondato. Moderato, ma in contrapposizione ad una mentalità aggressiva che presume di potersi realizzare contro, anzi in dispregio delle regole della democrazia e del consenso. Essere moderati non significa eludere i problemi, cercare sempre un compromesso, ergere la mediazione a metodo perenne dell’iniziativa politica. Significa piuttosto avere la capacità di gestire con equilibrio ma pure con determinazione il governo del paese. Bisogna rendersi conto che è in corso un conflitto politico ed istituzionale e che siamo ad un passaggio decisivo che non si può affrontare con banali inviti alla moderazione. E’ in gioco il futuro dell’Italia ed anche la sua dignità internazionale. C’è una tendenza della vecchia sinistra italiana che spera di trovare all’estero il consenso perduto in patria: da molti la vigilia della presidenza dell’Unione Europea viene vissuta con questo spirito denigratorio, con la speranza di una miserabile rivincita. Ma questa è una storia ancora non scritta, che speriamo non debba scriversi mai. Perché ciò accada però è necessario essere all’altezza dei tempi e dei problemi. Berlusconi dieci anni dopo scopre un piglio nuovo, anzi antico. Quello con cui s’impose all’attenzione del paese e da esso fu corrisposto con un inimmaginabile consenso.

9 maggio 2003

domenico@mennitti.it

(da l’Avanti)