Quei pubblicitari del "no logo"
di Simone Navarra

Luca Casarini ha giubbotti e piumini Helly Hansen, Don Vitaliano della Sala non rinuncia mai alle sue Merrel, e a Francesco Caruso piacciono i cappelli di lana Billabong. I leader dei disobbedienti seguono la moda, fregandosene di quel che un tempo condannavano: l’attenzione al momento di un qualsiasi acquisto per l’etichetta, l’origine di un prodotto che potrebbe essere la causa o l’effetto dello sfruttamento di uno o più paesi poveri e arretrati. Le facce del movimento contro la guerra e le ingiustizie sociali, arrivato ormai alla notorietà mediatica scelgono di vestirsi come i paninari degli anni ‘80 e non è una scelta da far passare in secondo piano, lontano dai riflettori. Visto anche che è argomento sempre vivo nei forum e nelle discussioni on-line dell’area antagonista, dalle parole che si rintracciano sui noti indymedia ed ecn.org, a quelle che sono in molti dei siti dei centri sociali. E molti parlano di “imborghesimento”, di “capi” che spendono troppo per jeans e maglioni. “Alla moda non si comanda”, dicono con un po’ d’orgoglio alla Helly Hansen. “Vedere Casarini in collegamento con Porta a Porta, con indosso uno dei nostri prodotti è stato un bel promo. Non c’è che dire”. 

Tutti contenti del risultato insomma anche se in quella puntata, Casarini aveva coperto il tipico logo dell’azienda d’origine norvegese, con un adesivo. “Il successo tra i no-global è comunque oggettivo. Della cosa siamo da una parte sorpresi in modo positivo e dall’altra sicuri che si è scelto un capo pensato e costruito per resistere, originariamente destinato a chi è in condizioni estreme”. Che poi siano lavoratori particolari come gli operai delle piattaforme per l’estrazione petrolifera o i pescatori delle flotte artiche, specializzati tra l’altro nella pesca della balena, è un altro discorso. Così come lo è la globalizzazione di un giubbotto pensato in America, su concessione dei titolari norvegesi dal 1877, e manufatto qua e là nel mondo, anche in luoghi dove la manodopera è ben lontana dal conoscere scioperi e astensioni dal lavoro o dal farsi rappresentare da un sindacato. 

E’ tutta una illusione frutto del "cambio di destino", come lo definiscono i pubblicitari. Per la Helly Hansen, così come per la Billabong, avviene in pieni anni ‘90 quando si sceglie di donare ai cantanti della scena hip hop qualche camion di quei prodotti "originariamente nati per tutt’altro impegno". In breve le Adidas e le Nike tipiche dei rapper vengono sostituite in corsa da scarponcini "antinfortunistica" o calzature nate per il golf come le Merrel. William Gibson, nel suo ultimo romanzo incentrato proprio su una ricercatrice di brand, di mode, scrive: "Dietro le scelte di un artista, di un opinion maker si nascondono interessi e legami che erano prima insospettabili". Una lettura più semplice della situazione fa pensare a "l'incidente di percorso" avvenuto ancora a Casarini in quel di Livorno, dove è stato aggredito e malmenato da alcuni autonomi toscani della locale squadra di calcio. Malgrado questi insoliti sostenitori degli amaranto, allenati da Roberto Donandoni, siano stati subito bollati come "stalinisti" e "fascisti travestiti" sono forse l’esempio di una saldatura che non è più così forte. Causa: la scelta dei disobbedienti di ergersi a servizio d’ordine e punto di riferimento per un sistema a cui non piacciono appelli e ordini. 

11 aprile 2003