Rai:
il ritorno della politica televisiva
di Paola Liberace
La prima indicazione positiva sul palinsesto Rai è arrivata al nuovo CdA
da un ministro, Urbani, che qualche settimana fa ha ribadito l’esigenza
di un notiziario dedicato alla cultura, alle arti e allo spettacolo. Un
intervento indebito? Un’ingerenza da evitare? Se l’indicazione fosse
provenuta da altri esponenti del governo, se avesse riguardato tematiche
più “scottanti”, certamente commenti di questo tipo avrebbero
subissato le fonti di informazione. Eppure, il pronunciamento di un
ministro sul palinsesto Rai dovrebbe essere considerato non solo
accettabile, ma doveroso, in nome di una presenza che con le ultime
vicende della Rai si accinge a riproporsi: quella della politica
televisiva. Che la politica debba essere impegnata nella Tv di Stato è
opinione che merita valutazioni più approfondite di quelle solitamente
riservate a questi argomenti: la televisione pubblica è un’industria, e
se il governo può e deve intervenire politicamente nel governo dei
settori strategici della produzione del paese, non si capisce perché non
debba essere altrettanto per la produzione e la trasmissione audiovisuale
– almeno fino a quando la Rai sarà cosa pubblica.
La stessa struttura della nuova dirigenza Rai, continuo oggetto di
attenzioni polemiche, rivela un simile progetto. Il ruolo delle due
principali figure di spicco, quella del presidente del CdA e quella del
direttore generale, sembra essersi invertito: la figura di riferimento
gestionale, meno direttamente connessa al settore televisivo, era in
precedenza quella del presidente, mentre il direttore generale vantava
esperienza specifica nella Tv, nell’editoria o nella stampa, in base
alla quale era destinato a controllare nel merito palinsesti e contenuti.
Oggi ad un presidente “del mestiere” viene affiancato un direttore
generale di tutt’altra provenienza, di tradizione imprenditoriale e
vicino ai riferimenti politici del governo. Un segnale forte del
coinvolgimento positivo dello Stato nella linea della nuova Rai, inteso a
distinguere e potenziare alcuni aspetti peculiari del servizio pubblico,
anziché limitarsi all’imitazione delle emittenti concorrenti. Leggere
tale impegno come un favore a queste emittenti, per le ben note ragioni
legate allo status del presidente del Consiglio, sembra davvero troppo
facile, e poco interessante.
11
aprile
2003
pliberace@yahoo.it
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