Le istituzioni di un paese normale
di Aldo G. Ricci

Le riforme o il caos. Mai come oggi è attuale parafrasare il fortunato slogan di Nenni del ’46: “La Repubblica o il caos”. Ne sanno qualcosa proprio i socialisti che sulle mancate riforme istituzionali già molti anni fa persero l’occasione storica di dare un volto moderno alla nostra Repubblica. L’alternativa è riemersa, in termini ovviamente mutati, dati i rapporti di forma oggi più favorevoli alla maggioranza, nel confronto tra Fini e Follini organizzato lo scorso mercoledì alla sala del Cenacolo da Domenico Mennitti per “Ideazione”, che si conferma protagonista nel lavoro di raccordo e di elaborazione del dibattito politico, in particolare nell’ambito della Casa delle libertà. Tutti i partecipanti concordi sulla necessità e sull’urgenza di un rafforzamento dell’Esecutivo, con il premierato forte (ma quanto?) come punto di convergenza. Meno concordi sulla modalità per coinvolgere l’opposizione nel processo riformatore, in particolare di fornite a una parte dell’opposizione che ogni giorno grida “mai riforme con questa maggioranza” e che accetta l’alternativa solo quando è essa stessa al potere.

L’opzione principale è ovviamente di arrivare a un confronto costruttivo e a un risultato comune. Come ha ricordato Follini, la forza della Costituzione nel difficile dopoguerra nasce soprattutto dalla convergenza sul testo di tutte le forze politiche principali. E il rischio di una riforma a maggioranza consiste nell’esporla ai mutamenti dei risultati elettorali. La subordinata è di essere costretti dall’impossibilità di un accordo a procedere comunque a un mutamento istituzionale rivolto a dare stabilità e autorevolezza al governo. Sia perché questo impegno è stato sottoscritto con gli elettori, come ha ricordato Fini, sia perché in caso contrario è lo stesso maggioritario e il meccanismo dell’alternanza che rischiano di saltare. Se la sovranità risiede nel corpo elettorale, e non negli umori parlamentari della vecchia politica, occorre che l’esecutivo abbia gli strumenti per garantirsi stabilità, ministri politicamente e tecnicamente all’altezza, e diritto d’appello agli elettori. Questa necessità, come ha ricordato Fini, diventa assoluta nel momento in cui stanno andando avanti due processi irreversibili: la devoluzione di sovranità in basso, con il federalismo, e in alto, con l’aumento dei poteri attribuiti all’Europa. 

Di fronte a questo quadro, ferma restando la necessità metodologica di un confronto parlamentare con l’opposizione disposta a dialogare – come ha raccomandato lo stesso Follini – la Casa delle libertà non può mancare l’appuntamento storico per dare al paese un Esecutivo in grado di difenderne gli interessi complessivi, contribuendo a consolidare quei valori repubblicani condivisi che sono essenziali per avviare il sistema maggioritario e il meccanismo dell’alternanza verso un funzionamento “normale”. In questi anni, come ha ricordato Mennitti, la Costituzione materiale ha camminato più di quella formale, che deve quindi recuperare il tempo perduto. Soprattutto, aggiungerei, perché chi considera un tabù inviolabile procedere a cambiamenti istituzionali per via di maggioranze, sottovaluta il formidabile ruolo trascinatore che hanno i nuovi meccanismi una volta entrati in funzione. Si guardi la Francia: quando De Gaulle riformò la Costituzione, le sinistre gridarono alla dittatura, salvo poi entrare tranquillamente nel nuovo sistema e diventarne parte essenziale.

31 gennaio 2003

(da L'Avanti)