Giustizia: la partita decisiva passa attraverso le riforme
di Domenico Mennitti

Dopo la sentenza della Cassazione sul processo Imi-Sir le prospettive del nostro paese si profilano cariche di gravi incertezze. In una fase caratterizzata da evoluzioni imprevedibili degli equilibri mondiali, alla vigilia della presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea, l'Italia vede ridotte le potenzialità di accrescimento del prestigio internazionale dal protrarsi di vicende giudiziarie interne, che ormai hanno obiettivamente perduto ogni valore di merito per assurgere al ruolo di veri e propri casi politici. Bisogna rilevare che tutto questo è reso possibile dal prevalere di una cultura tecnico-giuridica che è stata sostenuta anche dalla classe di governo, per cui il paese soffre conseguenze pesantissime assistendo inerte ad una partita di abilità giuridica che magistrati ed avvocati stanno giocando con spregiudicatezza. Rivendichiamo l'avvento di una cultura politico-istituzionale, che tragga l'Italia fuori dalle secche della paralisi e la proietti verso gli ambiziosi traguardi che sono alla sua portata e che le possono essere preclusi da una insana guerra fra poteri dello Stato.

Tangentopoli si affermò non perché le forze del Bene, interpretate dai magistrati, sconfissero quelle del Male incarnate dai politici. Le due classi avevano per anni tranquillamente convissuto condividendo responsabilità e distrazioni. Il sopravvento del potere giudiziario fu agevolato dalla crisi della politica, della quale la corruzione era l'aspetto più scoperto e perciò più vulnerabile. Il punto fondamentale per ricostruire lo Stato di diritto, che è l'aspirazione più diffusa nelle coscienze di tutti i cittadini, anche a prescindere dalla loro collocazione politica, è perciò quello di restituire alla politica la propria dignità ed il proprio ruolo.

Questa esigenza è comune a maggioranza ed opposizione, entrambe chiamate in causa dal pericolo che sia stravolto il regime democratico nel nostro paese, dove il rischio concreto è che si determini una lacerazione istituzionale così profonda da generare uno sconto elettorale fra politici e magistrati. Ipotesi molto meno teorica di quanto possa apparire e tuttavia stravolgente per tutte le forze politiche. Se, infatti, dovesse prevalere una tesi già emersa nella compagine di governo, di rispondere con le consultazioni anticipate alla condanna del premier che tutti danno per scontata a Milano, quale sarebbe il ruolo dell'Ulivo se non quello di ruota dei scorta del partito dei giudici? E quale sarebbe il destino della sinistra moderata che non ha accolto come elemento utile al confronto l'avvento dei girotondini, che ormai hanno invaso piazze, sedi istituzionali ed aule giudiziarie, portando ovunque i loro messaggi di estremismo disperato?

In questo quadro è evidente che chi è detentore del consenso elettorale deve sottrarsi alla tentazione di giocare partite difensive e deve avviare una grande offensiva politica ed istituzionale, l'unica che può restituire dignità alla politica, accelerare l'indispensabile processo di modernizzazione e rimettere ordine nella confusione dei poteri dello Stato, impedendo che si verifichino invasioni di campo e stravolgimenti delle regole democratiche. In politica ci sono i momenti delle mediazioni e quelli delle decisioni. Bisogna rendersi conto che l'attuale fase richiede una nuova "discesa in campo", apparendo evidente il terreno sul quale maggioranza, minoranza e governo giocano, ognuno per proprio conto, la partita delle libertà e delle democrazia. 

31 gennaio 2003

domenico@mennitti.it