Devolution, la palude dei veti incrociati
di Renato Tubére

Tanto tuonò che (non) piovve: si può sintetizzarsi così l'iter delle riforme nell'Italia dell'eterno bipolarismo imperfetto. Infatti, le aule parlamentari pullulano come non mai di sussurri, chiacchiere, grida in entrambi gli schieramenti politici, mentre il sistema paese fatica a coordinare i propri disperati sforzi, alla ricerca di una competitività perduta. Dal federalismo alle grandi opere, dall'istruzione alla sanità è tutto un affannoso rincorrersi di annunci seguiti da smentite, correzioni ed aggiustamenti dell'ultima ora: l'immobilismo è l'unica certezza. A chi giovi questa situazione sembra fin troppo chiaro: innanzitutto ai massimalisti di sinistra intenti ad agitare le piazze con isterie degne di miglior causa. Tra di loro militano molti intellettuali cresciuti a pane e Gramsci, pur non avendo mai stretto la mano ad un operaio vero, decisi a tutto pur di difendere onori e prebende faticosamente conquistati ai tempi del cattocomunismo imperante negli ultimi trent'anni. Ci sono poi no-global, pacifisti e disobbedienti a vario titolo arroccati su posizioni nichiliste: a loro s'affiancano alcuni sindacalisti che temono di essere addittati prima o poi come principali responsabili dell'odierna crisi del mercato del lavoro e cercano di nascondere un passato di chiacchiere ed omissioni dietro la foglia di fico delle piazze teleguidate dagli organi di stampa compiacenti.

Esiste purtroppo anche nel centrodestra una piccola ma significativa porzione che rema contro i fautori delle riforme istituzionali: dentro e fuori dai palazzi della politica nazionale, questi piccoli uomini recitano a soggetto il ruolo dei neoliberisti, occultando però piuttosto malamente la loro inestinguibile sete di clientelarismo. Costoro danno sempre il meglio di sé una volta all'anno, al momento cioè dell'approvazione della Legge Finanziaria, battendosi come forsennati per l'inserimento di emendamenti destinati a far sforare la spesa pubblica. Dopo scompaiono e, finita la festa, si dedicano anima e corpo alle lucrosa attività nel collegio elettorale di appartenenza, ricorrendo al pianismo sfrenato di qualche volenteroso collega di partito nelle aule parlamentari a Roma. Ecco quindi che assistiamo ad uno spettacolo penoso, al ricatto continuo delle istituzioni più prestigiose della nostra repubblica da parte di individui francamente squallidi nel loro boicottaggio sistematico del sistema paese. Che fare per impedire a questa minoranza di facinorosi di frenare le legittime aspettative dei cittadini italiani, convinti a votare per un cambiamento sostanziale della politica italiana dall'accattivante slogan "Più società, meno Stato"?

Intanto è necessario, nelle pieghe dell'approvazione della cosiddetta devolution, procedere alla trasformazione, unita ad un salutare snellimento al suo interno, di uno dei due rami del Parlamento in Camera delle Regioni. E' necessario che Regioni, province, città metropolitane e realtà associative significative per la società civile (associazioni di categoria del mondo del lavoro, fondazioni, esponenti del terzo settore) finora così malamente rappresentate nella vita politica concentrino i propri sforzi nel chiedere con fermezza al governo in carica la nascita di questo nuovo organismo. E' necessario che nell'organizzazione dei propri lavori la nuova Camera s'ispiri alle tematiche del federalismo indicate nel recente manifesto bipartisan recentemente pubblicato, sottoscritto da riformisti così diversi fra loro come Valter Veltroni, Sandro Bondi, Sergio Chiamparino e Giorgio Vittadini. Solo così potrà iniziare davvero la disinfestazione del più grande nemico della democrazia in Italia: quel consociativismo clientelare che lentamente, ma inesorabilmente ha portato la società civile del nostro sfortunato paese sull'orlo del baratro.

6 dicembre 2002

renatotubere@email.it