Italia. Le riforme attendono ancora
di Pierluigi Mennitti
E' il forte squilibrio tra il Nord e il Sud del paese l'elemento che più
di ogni altro viene evidenziato dal rapporto sull'Italia dell'Index 2003
realizzato dalla Heritage Foundation. Le libertà economiche sono più
forti nel Settentrione che si conferma una delle regioni più ricche
d'Europa, mentre il Mezzogiorno resta povero e "fortemente assistito".
Gravi problemi strutturali come il pesante sistema pensionistico, il
rigido mercato del lavoro, l'onnipresenza di una burocrazia oppressiva
limitano lo sviluppo economico del paese. E si fanno sentire con maggior
peso al Sud, dove occorrerebbe invece più libertà per far esplodere il
potenziale inespresso di un'area lontana dagli standard occidentali. Il
punteggio che gli esperti americani della Heritage assegnano all'Italia
è 2,35, un risultato che ci colloca ancora all'interno della categoria
dei paesi "mostly free", prevalentemente liberi, e che ci vede
mantenere il ventinovesimo posto dello scorso anno. Un risultato non
esaltante.
Seppure ancorati alla gran parte dei paesi dell'Unione Europea, noi
italiani perdiamo posizioni (e competitività) rispetto alle tigri
scandinave dell'Europa Artica, le grandi sorprese del rapporto 2003,
un'area che ormai pare distaccarsi dal "capitalismo sociale" di marca
continentale per lanciarsi - senza il fardello di un welfare state
profondamente ristrutturato - nel mare aperto della competizione
globale. Lo stesso accade nei confronti dell'area asiatica e del
Pacifico, rispetto alla quale vantiamo ancora migliori standard
qualitativi di produzione e di marketing ma perdiamo capacità di
attrarre investimenti stranieri e flessibilità nei mercati del lavoro e
nei sistemi assistenziali.
Entrando nel dettaglio dell'analisi sull'Italia, i punteggi peggiori
riguardano l'eccessiva regolamentazione e l'oppressione fiscale: su una
scala da 1,00 (il massimo) a 5,00 (il minimo) l'Italia ottiene un 3,00 per la
regolamentazione e addirittura un 5,00 per l'oppressione fiscale. Risultato
quest'ultimo che ci colloca ai livelli dei peggiori paesi statalisti del
globo. Gli economisti della Heritage lamentano una lenta deregulation e
un'eccessiva frammentazione delle regole da regione a regione
all'interno del paese, oltre a una inefficiente applicazione delle norme
che crea un sistema non trasparente capace di limitare pesantemente la
libertà di investimenti. Si nota che la Legge obiettivo, varata dal
governo Berlusconi nel 2001 per facilitare la realizzazione delle grandi
infrastrutture e dei progetti industriali, rappresenta un passo in
avanti. E tuttavia, pur essendo oggi più semplice fondare un'impresa,
molte procedure restano complicate ed "esistono più di 40mila leggi che
costituiscono l'ambiente legislativo italiano e che sono estremamente
frammentate e soggette all'interpretazione spesso non omogenea delle
autorità locali". A questo si deve aggiungere la corruzione della
burocrazia: anche se la situazione è migliorata negli ultimi anni, il
livello di corruzione in Italia "resta il più elevato fra i paesi del
G7". Anche in questo caso l'area più penalizzata è il Mezzogiorno: più
corruzione, meno certezza, meno investimenti produttivi.
L'altra nota dolente è, come detto, l'oppressione fiscale. I voti della
Heritage (secondo la stessa scala di punteggio da 1,00 a 5,00) mostrano
allarme rosso su tutte le voci: entrate fiscali 4,50; spesa statale 5,00.
L'aliquota massima delle entrate fiscali raggiunge il 45,1 per cento,
quella del contribuente medio il 33,1 (contro rispettivamente il 40 e il
22 dell'Inghilterra). L'aliquota massima per le aziende è del 36 per
cento (Inghilterra 30 per cento). Nel 2001 la spesa del governo ha
raggiunto il 45,7 per cento del prodotto interno lordo: in totale un
costo dello Stato molto alto che si condensa in un 5,00 finale che pesa
fortemente nel punteggio generale. Negli altri settori i dati non si
discostano da quelli medi dell'Unione Europea continentale. Basso
livello di protezionismo nelle politiche commerciali e di interventismo
statale nell'economia (nel 2001 l'Italia ha ricevuto l'1,36 per cento
dei ricavi totali da imprese statali o partecipate dallo Stato). Buona
la situazione dell'inflazione (stimata nel 2001 al 2,6 per cento, anche
se per l'anno successivo sarà inevitabile scontare l'introduzione
dell'euro) e nella norma il sistema dei prezzi, largamente decisi dal
mercato salvo prodotti come carburante, elettricità e tabacchi ove grava
una forte tassazione statale. La Heritage valuta positivamente anche il
processo di privatizzazione nel settore creditizio, notando come la
fuoriuscita dello Stato dalla proprietà delle banche abbia creato una
grande concentrazione tra gli istituti, facendo emergere poche grosse
banche. Nulla invece viene rilevato su come tale sistema operi, anche
rispetto alle attività imprenditoriali del paese.
I dati riportati evidenziano come l'Italia sembri adagiarsi nel limbo di
quei paesi che si attardano nella riforma dei propri problemi
strutturali, vivono di rendita sui vantaggi competitivi raggiunti nei
decenni precedenti ma rischiano un lento declino negli anni a venire.
L'Italia, insomma, ipoteca il proprio futuro rimandando le riforme
necessarie a liberalizzare le proprie strutture economiche. L'analisi
politica che gli analisti della Heritage compiono a summa del loro
lavoro sull'Italia è molto dura: sistema pensionistico e mercato del
lavoro sono le riforme necessarie senza le quali "non c'è da stupirsi
che l'economia italiana registri le peggiori performance di tutta la
zona euro". Il governo Berlusconi, sostiene la Heritage, aveva creato
molte attese. In realtà, osservano sconsolati gli economisti, "poco è
accaduto" e i cambiamenti sono rimasti sulla carta. Colpa anche del
contesto politico: l'opposizione non collabora e resta fortemente
contraria a ogni riforma mentre il tentativo di intervenire su alcuni
meccanismi del mercato del lavoro ha portato il governo nell'aprile 2001
a un duro confronto sociale con i sindacati che insistono per il lavoro
a vita garantito. Un ambiente economico e sociale ostile alle riforme,
sostiene la Heritage. Eppure il governo aveva ottenuto la maggioranza
dei voti proprio sulla base di un programma riformista, sosteniamo noi.
E qualcuno doveva averglieli pur dati quei voti.
6 dicembre 2002
pmennitti@ideazione.com
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