Per Cofferati, un bagno no global
di Giuseppe Mancini
Carismatico, affidabile, unico: Sergio Cofferati, co-leader in pectore
della sinistra, è il vero trionfatore delle giornate movimentiste del
Social Forum europeo di Firenze. Per la sinistra radicale, Cofferati è
l'icona della riscossa antiberlusconiana, la guida carismatica che
indica la via per sbarazzarsi di un governo di centrodestra mal digerito
e sostanzialmente odiato; tra i maggiorenti della sinistra, il solo che
ha sempre pensato, da segretario della Cgil, ai diritti dei lavoratori e
dei cittadini, invece di intrallazzarsi in congiure di palazzo, in
autoglorificazioni del proprio illusorio potere. Ed è anche l'unico che,
a conti fatti, è riuscito ad imporsi come interlocutore autorevole al
movimento. Ci avevano provato, in precedenza, i comunisti rifondati di
Bertinotti e i verdi di Pecoraro Scanio; con impacciata timidezza anche
i quercianti di Fassino, i correntonisti di Berlinguer e i margheriti di
Rutelli. Non sono mancati i flirt e le tresche tra politicanti e
opportunisti dei no-global (Agnoletto e Casarini in testa) e il compagno
Fausto: ipotetiche poltrone e sovvenzioni, passando per candidature
passabilmente sicure, in cambio di voti, di voti, di voti. Ma le avances,
nel complesso, sono state sdegnosamente respinte, Bertinotti non se l'è
filato quasi nessuno e tutti gli altri proprio nessuno: per mancanza di
carisma, di affidabilità, di spessore politico.
Ma è bastata la teofanica apparizione di Cofferati nel corteo di
Firenze, un magnetico sorriso e un cenno della mano appena abbozzato,
per produrre il miracolo: l'inconsistenza politica di Agnoletto&Co. è
stata spazzata via, Bertinotti&Co. sono rimasti spiazzati, il "cinese"
ha intascato una bella cambiale. Un patto che dovrebbe funzionare in
questo modo: un no incondizionato alla guerra, un no incondizionato al
modello di sviluppo neoliberista, l'attenzione civettuola per gli slogan
no-global, una futura (probabilmente simbolica) rappresentanza nelle
istituzioni, in cambio dell'attenuazione dei toni e dei modi della
protesta e di voti, di voti, di voti.
Il resto l'hanno fatto il servizio d'ordine della Cgil, possente e
inflessibile, a cui hanno dato man forte Cobas, Arci, lillipuziani (da
un pezzo in proficua trattativa col prefetto Serra). Ai piantagrane è
rimasta qualche smorfia, qualche ballo rituale, lo spernacchiamento
della Fallaci, l'indigestione di seminari-workshop-conferenze. E gli han
tolto persino i dibattiti: le assemblee - circolari, orizzontali e
paritarie - di cui i no-global andavano fieri, si sono trasformate nella
"Fiera della politica", in una serie di banchetti informativi, di
lezioni ex cathedra, di tavole rotonde in cui agli interventi del
pubblico si faceva volentieri a meno. Fino al punto che i più radicali
dei radicali (anti-imperialisti in testa) se la sono presa a male: "I
soliti furboni hanno ucciso il movimento e nessuno se ne è accorto", ha
tuonato in una delle tante mailing-list no-global uno di loro,
proferendo la più terribile e infamanti delle offese: "Diessini!". Si
voleva la rivoluzione, ci si dovrà accontentare di un movimento che si
trasforma in socialdemocrazia. À la Cofferati.
22 novembre 2002
giuse.mancini@libero.it
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