Giustizia: riformisti alla prova
di Arturo Diaconale

C'è un nesso fin troppo evidente tra l'appello alla clemenza verso i detenuti di Giovanni Paolo II, le proteste per gli arresti dei no-global, il turbamento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per la inaspettata condanna di Giulio Andreotti e lo sconcerto e l'indignazione di gran parte del mondo politico italiano per l'ultima e più clamorosa conferma, come ha giustamente sottolineato Silvio Berlusconi, dello stato di impazzimento della giustizia italiana. Questo nesso è rappresentato dalla comune consapevolezza che dopo oltre dieci anni di uso strumentale e politicizzato della magistratura non esiste più un solo cittadino della nostra Repubblica disposto a nutrire un pizzico di fiducia su come viene amministrata la giustizia nel nostro paese. L'ultimo che continuava a manifestare fiducia nella giustizia era proprio Giulio Andreotti. Ma, anche se l'ex leader democristiano afferma di non voler cambiare posizione nella chiara speranza di veder ribaltato il verdetto di condanna in Cassazione, la sua vicenda segna il crollo definitivo della credibilità della giustizia italiana agli occhi dell'intera opinione pubblica.

Che fare? La strada da prendere è una sola. Quella che porta ad una grande e radicale riforma del sistema giudiziario. Ma come imboccare questo percorso? E, soprattutto, chi è disposto a prenderlo e seguirlo fino al punto d'arrivo rappresentato da un nuovo sistema fondato sul principio della giustizia giusta al servizio dei cittadini e non delle caste? I modi per avviare la grande riforma sono diversi. C'è quello rappresentato dalla proposta di una apposita Commissione Bicamerale lanciata da Francesco Cossiga o quello del più semplice e tradizionale percorso parlamentare di un provvedimento concordato tra le diverse forze politiche. Ma prima di ogni modo va verificata la effettiva volontà delle forze politiche.
Una volontà che non può essere espressione di una sola parte ma deve essere il frutto di una grande intesa. O tra l'intero schieramento di maggioranza e l'interso schieramento d'opposizione. Oppure tra le forze dei due schieramenti che, sia pure senza rinunciare alle rispettive collocazioni, sono disposte a lavorare insieme per risolvere il problema che più di ogni altro grava sulla democrazia del paese.

Ci sono le condizioni per questa intesa bipartisan sulla riforma della giustizia? Suo versante del centro destra è facile preventivare che Silvio Berlusconi ha la possibilità di convincere anche i settori più riottosi della Lega e di An a puntare sulla collaborazione con l'opposizione. Più difficile, invece, che il centro sinistra possa trovare una linea comune sulla questione. L'ala giustizialista, che è annidiata trasversalmente tra i partiti dell'Ulivo e che è pesantemente condizionata dalla lobby mediatica debenedettiana e da quella dei magistrati di sinistra, tenterà l'impossibile pur di boicottare l'operazione. Né più, né meno di quanto abbia pervicacemente fatto negli ultimi dieci anni. Se c'è una speranza di mettere mano alla "emergenza-giustizia", quindi, questa passa attraverso la capacità delle componenti moderate della Margherita e dei Ds di resistere alle spinte estremiste per lavorare alla intesa bipartisan con la maggioranza sulla riforma della giustizia. Ma la sinistra riformista avrà il coraggio e la forza per vincere la battaglia per la giustizia giusta del paese e per la propria sopravvivenza politica?

22 novembre 2002

diaconale@opinione.it

(da L'opinione delle Libertà, del 19 novembre 2002)