Cattivi pensieri. Un caso di legittima difesa preventiva
di Vittorio Mathieu

Me lo aspettavo, che il poliziotto che ha ucciso due rapinatori armati fosse incriminato. Se lo aspettavano anche i superiori, che hanno giocato d'anticipo conferendogli un encomio solenne. In Procura qualcuno si scusa dell'avviso di garanzia, dicendo che era un atto dovuto. Non c'è dubbio: quando ha notizia di un reato, la Procura competente per territorio è tenuta ad aprire un fascicolo. Nulla le impediva, però, in questo caso di chiuderlo subito e di archiviarlo. L'unico reato di cui si avesse notizia era quello dei rapinatori, e le informazioni erano tutte attendibili, coerenti, esaurienti. Non c'è ragione perché il poliziotto si allarmi: il fatto sussiste, ma non costituisce reato. E' comprensibile, tuttavia, la rabbia sua e dei commilitoni. Qui vorremmo allargare il discorso per sviluppare il senso del diritto e mettere in chiaro di chi sia, in generale, la responsabilità di un fatto. A volte ciò non è chiaro, mentre il caso della ricevitoria a Colli Aniene è un caso emblematico, che può fornire un modello. La responsabilità per la morte dei due rapinatori è tutta di chi ha progettato e tentato la rapina. Far questo e pretendere l'impunità sarebbe insensato.

Noi filosofi non siamo in grado di dire nulla di certo sulla responsabilità: può darsi che non sia dei singoli; che abbiano ragione gli stoici o Spinoza o i musulmani; che la responsabilità vera sia del Fato, o della Natura, o di Allah. Ma il giurista non può e non deve avere dubbi del genere: se è un giurista può solo presumere che responsabili siano i singoli individui umani. Deve presumerlo perché, senza questo postulato pratico, non è possibile costruire nessun diritto, nessuno Stato, e avremmo la "guerra di tutti contro tutti" teorizzata come "stato di natura" da Hobbes. A volte chi parla a nome dello Stato di diritto fa un discorso diverso: non pensate a difendervi da soli, vi proteggiamo noi. Discorso, più che paterno, paternalistico. Il timore di una sanzione, foss'anche certa (e non lo è nella maggioranza dei casi), non distoglie dal crimine. Se va bene, la sanzione sarà irrogata a cose fatte, per una ragione di giustizia, non di difesa.

La difesa, che è un dovere a sua volta, va tentata prima che le cose si facciano. Senza aver tempo di accertare, ad esempio, se la pistola dei rapinatori sia o no scarica, o addirittura un giocattolo. In un caso ormai remoto si trattò di uno scherzo di cattivo gusto. Allora si può discutere se ci sia stata una colpa (non il dolo) dell'uccisore, che non se ne è reso conto. Ma nel caso della ricevitoria non c'è dubbio che la responsabilità sia tutta di chi minaccia a mano armata per uno scopo delittuoso. Sparare diviene allora un dovere: giuridico, forse, per un agente, in ogni caso morale. "Ma ha sparato per primo". Osservazione folle, benché frequente: se, per accertare che la minaccia di morte è seria, occorre aspettare di esser morti, tanto vale lasciar mano libera agli assassini e aspettare che siano condannati all'ergastolo. Con congiunta ordinanza di immediata scarcerazione.

8 novembre 2002