Come far crescere il Mezzogiorno
di Andrea Gumina
Il problema delle leggi di incentivazione al Mezzogiorno è oggi, in gran
parte, non di natura finanziaria. L’esperienza di quasi vent’anni di
Intervento Straordinario prima, e azioni comunitarie poi, dovrebbe
averci insegnato qualcosa su cause e motivi del ritardo strutturale del
Sud e, soprattutto, sul perché gli interventi dello Stato sono stati
sinora fallaci. In realtà, i motivi cui ascrivere il fallimento
dell’intervento pubblico sono molteplici, ma credo sia il caso di
concentrarsi in maniera prioritaria sul (non) ruolo della Pubblica
Amministrazione. Se diamo uno sguardo alle problematiche che hanno
caratterizzato gli anni dell’Agensud e poi il complicato avvio del
cosiddetto “intervento ordinario”, scopriamo che a non aver funzionato
non è stato tanto il framework complessivo – cioè la condivisione delle
linee strategiche che l’Unione Europea andava pretendendo dai partner,
in tema di libera concorrenza, percentuali di aiuti di stato etc. –
quanto la compatibilità normativa tra Italia e Comunità e, soprattutto,
il ruolo di guida e di progettazione che avrebbe dovuto svolgere la
Pubblica Amministrazione italiana.
Si discute aspramente, oggi, per l’entità della manovra rivolta al
Mezzogiorno, per le percentuali di spesa a fondo perduto e non, per la
preponderanza di incentivi automatici sulle politiche discrezionali:
tutti fattori, questi, cruciali nel determinare il giusto policy mix, ma
che a poco servono ove non esistano poi strutture in grado di far
funzionare la macchina. Tanto per essere concreti, il Quadro Unico delle
Risorse per l’intervento per il Mezzogiorno, realizzato nel 2000 per il
periodo 2000-2006, prevedeva 120.000 miliardi di vecchie lire per
l’intervento, allocate attraverso le spese ordinarie, quelle nazionali
aggiuntive e quelle comunitarie. Il vecchio Quadro Comunitario di
Sostegno (1994-99), che deve ancora “chiudersi”, presentava un’entità
inferiore, anche se comunque assai significativa di finanziamenti (circa
80.000 miliardi); e pure il primo (1989-’93), di cui – anche per la
confusione con l’ultima fase dell’Intervento Straordinario – si è persa
qualsiasi forma di rendicontazione, era più o meno di pari entità.
Il grande problema dell’Italia – problema attualissimo, nonostante i
grandi sforzi sin qui effettuati dal governo Ciampi e, di nuovo,
dall’attuale esecutivo – è stata la capacità di impegnare risorse (i
progetti non erano all’altezza) e, poi, di spenderle (i soggetti
erogatori non erano in grado di garantire i giusti flussi di cassa).
Questo fa il paio con l’unico sistema di incentivi che ha sin qui
funzionato, quello legato alla l. 488/92, che vedeva e vede il sistema
bancario – quindi non il pubblico – interagire direttamente con
un’autorità centrale e con le varie imprese richiedenti, per gestire le
risorse stanziate di anno in anno. Al di là di ciò – cioè di un
intervento del tutto automatico – qualsiasi altra forma di incentivi
“discrezionali” non ha funzionato, con grave danno per il sistema, che è
cresciuto, dove è cresciuto, a “macchia di leopardo”, senza un indirizzo
di politica economica che orientasse al giusto mix industriale o
permettesse la crescita dei servizi sul territorio (infrastrutture
fisiche e immateriali, soprattutto) di pari passo con il nascere delle
imprese. Risultato: altissima mortalità delle imprese nate attraverso
incentivi (specie tra quelle legate alla l. 44/86 sull’imprenditorialità
giovanile), scarso impatto sulla crescita di lungo periodo del
territorio, una situazione di grave disagio che permane sul tutto il
Mezzogiorno – salvo poche isole felici.
Voler dare un futuro al Sud, allora, vuole dire oggi soprattutto far
crescere la capacità progettuale e esecutiva di tutti i livelli delle
Pubbliche Amministrazioni, centrali e locali; coordinare le esigenze di
ognuno di questi livelli, tra loro e con il territorio – imprese,
sistema creditizio, università, sindacati; dare quindi vita ad una vera
“programmazione negoziata” permanente, dalla quale siano bandite però
tutte le forme di inefficienza (burocrazia e veti incrociati tra le
parti) che hanno caratterizzato quest’importantissimo strumento di
crescita, sino ad ora. L’importanza di una Pubblica Amministrazione
efficiente, dunque, è la vera border line per qualsiasi politica
economica che voglia ottenere risultati per un vero e duraturo sviluppo
delle nostre regioni depresse. Gli strumenti che si prospettano per
ottenere questi risultati si chiamano riorganizzazione interna,
federalismo amministrativo “intelligente” (cioè costruttivo e non
distruttivo), valorizzazione delle risorse umane, knowledge management,
e-government applicato ai processi di crescita territoriale. Le risorse
finanziarie, italiane ed europee, per il Sud, ci sono e ci sono sempre
state: le perderemo, solo se non saremo capaci di utilizzarle.
29 ottobre 2002
a.gumina@libero.it
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