Un’altra idea del Mezzogiorno
di Cristiana Vivenzio
Parla dei mali endemici del Sud e del nostro paese il nuovo documento
sull’economia del Mezzogiorno che verrà presentato a Bari il 24 e 25
ottobre prossimo, in occasione dell’insediamento nel capoluogo pugliese
dell’Osservatorio sul Mezzogiorno della Fondazione Ideazione. Quei mali
secolari che condannano l’Italia, per la natura stessa del suo
territorio e per la varietà della sua storia, a mostrare due volti,
spesso tanto diversi da creare l’immagine poco veritiera di un paese
diviso. I problemi strutturali del Mezzogiorno rimangono tre: il
fortissimo divario che esiste nella distribuzione del reddito pro capite
rispetto al resto del paese; la dipendenza dell’economia meridionale
dalle politiche assistenziali di cui ha goduto dal dopoguerra fino ad
oggi – e che dalla fine degli anni Sessanta sono state realizzate
sottoforma di trasferimenti di finanza pubblica piuttosto che di
investimenti volti a favorire l’aumento della produttività endogena;
infine, la progressiva assenza di un sistema strutturato e locale di
intermediari finanziari in grado di trasformare il risparmio in
investimenti. Quest’ultimo punto – spiegano i redattori del documento –
“in ragione sia della scomparsa della proprietà locale nel controllo
degli intermediari che nella diffusa presenza dello Stato nel processo
effettivo di intermediazione”.
E’ nei momenti di congiuntura economica che questi elementi aggravano la
propria incidenza sull’economia meridionale, e il quadro economico
attuale, che ha registrato una rivalutazione dell’euro rispetto alla
moneta statunitense e una crescita complessiva meno incisiva del
previsto, rischia di ingenerare, nel medio periodo, una “deformazione
dei prezzi relativi ed un peggioramento della capacità produttiva
dell’intero sistema italiano”. Con un ulteriore aggravio della
situazione del sud. Questo avviene sostanzialmente per il peso economico
di due fattori, particolarmente significativi nell’area considerata: “Le
elevate dimensioni del cuneo previdenziale e di quello fiscale che
pesano su tutte le imprese italiane ma scoraggiano, particolarmente,
l’espansione o l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nel
Mezzogiorno”. Sono questi fattori che contribuiscono a rallentare “il
riassorbimento della disoccupazione al Sud, consolidando,
parallelamente, il tarlo dell’economia sommersa che, a sua volta, genera
una incerta frontiera tra dimensione legale e dimensione illegale della
vita civile”. Esiste, cioè, un problema strutturale nel riassorbimento
della disoccupazione meridionale, che diviene sentore della sproporzione
esistente tra la capacità espansiva dell’economia locale e
l’assorbimento delle risorse umane e che aggrava il divario tra le due
parti del paese.
Quali prospettive e quali rimedi? Oltre alla necessità di attuare un
regime di sgravi fiscali ad hoc, con un sistema differenziato tra Nord e
Sud del paese in grado di produrre un effetto selettivo in favore
dell’economia del Mezzogiorno – ma, almeno per il momento, su questo
punto la negoziazione tentata in sede europea dagli ex governi del
centrosinistra non ha prodotto alcun risultato positivo, le soluzioni
che si prospettano possono essere di breve o di lungo periodo. Nel lungo
periodo è necessario fare in modo di “ridurre la fragilità strutturale
dell’economia meridionale per rendere endogena la capacità espansiva del
Sud: questo criterio supporta la decisione di favorire ogni genere di
intervento che ecciti la produttività del sistema economico locale”. Che
sia attraverso la creazione di infrastrutture materiali o il
potenziamento delle reti per la produzione di energia e per le
telecomunicazioni ovvero la riduzione dei costi di monitoraggio ed
accesso ai mercati internazionali o, infine, attraverso il rafforzamento
del mercato finanziario locale. Mentre per porre rimedi di breve periodo
bisognerebbe “immaginare, ancora e per quanto sia possibile, una rete di
protezione per l’economia meridionale e, contemporaneamente, alimentare
il flusso della spesa per le risorse comunitarie: che avrebbe effetti
compensativi di ordine macroeconomico rispetto alla contrazione della
spesa pubblica domestica”. Ma tutto questo, per essere realizzato,
dovrebbe richiedere il placet di Bruxelles.
In sintesi, è possibile – sostengono i membri del comitato scientifico
che ha redatto il documento – stilare un programma di massima, attuabile
nel breve periodo che includa: “Il sostegno intelligente della domanda
aggregata attraverso investimenti in opere infrastrutturali e reti di
servizio finanziato da fondi derivati dalle politiche regionali europee;
la creazione di riserve, di spesa e di copertura, in materia
previdenziale e tributaria che diano uno spazio garantito alle
decisioni, più frammentate e meditate, delle imprese meridionali
rispetto a quelle settentrionali; L’inclusione nella legge finanziaria
di quest’anno di stanziamenti adeguati per dare corpo ad ampie coperture
di spesa per la legge 488, i contratti di programma, la legislazione in
favore delle nuove imprese e dei prestiti d’onore; infine, una maggiore
pressione sui gruppi bancari che operano nel Mezzogiorno perché diano
vita a forme di supporto finanziario delle decisioni di investimento e
creino sistemi periferici di contatto con le imprese dotati di adeguati
poteri di autorizzazione delle operazioni negoziate
Venendo alle questioni della politica. Le polemiche sugli interventi per
il Mezzogiorno innescate dal Dpef hanno richiamato governo agli impegni
assunti con le parti sociali nel patto per l’Italia. Un impegno che
poneva tra i suoi obiettivi prioritari la necessità di espandere
l’economia del Mezzogiorno e di risanarne, in parallelo, il tessuto
sociale e la rete delle amministrazioni pubbliche. Al centro degli
obiettivi dell’esecutivo i problemi infrastrutturali, la tutela della
legalità e dei contratti, l’applicazione intelligente delle politiche
europee di coesione, la ricerca e l’innovazione tecnologica. Attraverso
la realizzazione di “contratti di programma, la riqualificazione della
spesa pubblica, una legge obiettivo per le grandi opere pubbliche, la
riorganizzazione della macchina amministrativa, la ridefinizione della
missione e dello stile di lavoro dei grandi enti pubblici, il
coordinamento e la coerenza nelle azioni dei vari livelli di governo,
nazionali e locali. A questo si aggiunge la concentrazione del credito
d’imposta solo nell’area meridionale e la cumulabilità dello stesso con
la Tremonti bis”. In definitiva, un fisco amico dell’impresa che investe
con successo, che, con l’andare del tempo, dovrebbe sostituire
l’amministrazione pubblica nella selezione delle imprese cui concedere
capitale a tasso zero.
Ed ecco, allora, che il documento enuncia le determinanti di fondo di un
processo endogeno di crescita per il Mezzogiorno, che secondo lo scritto
si dovrebbero muovere almeno in quattro direttrici. Per primo
promuovendo l’esistenza di “istituzioni ‘amiche del mercato’, vale a
dire di un ordinamento, ma anche di un complesso di comportamenti,
individuali e collettivi, che affidino prevalentemente alla
responsabilità individuale ed allo scambio la funzione di indirizzo del
processo di crescita”; la seconda direttrice richiama in causa la
debolezza del sistema finanziario del Mezzogiorno e la necessità di
collegarsi al mercato mondiale dei capitali, garantendo un ragionevole
tasso di efficienza allocativa nell’impiego delle risorse disponibili,
che possano essere investite nel paese per colmare l’handicap di un
differenziale di crescita. Ancora, bisogna puntare sull’esistenza di
“reti per la connessione degli attori, la mobilità delle merci e delle
persone, la circolazione delle informazioni e la produzione e la
distribuzione delle utilities principali: un capitale fisso sociale
installato o da generare mediante forme di partnership ed alleanza tra
poteri pubblici ed interessi privati”. Infine, bisogna fare in modo di
creare una massa critica di beni pubblici intangibili e un livello di
fiducia e di reciprocità dei comportamenti individuali che
“rappresentino una massa adeguata di capitale sociale intangibile, di
natura relazionale e cognitiva, che integri il capitale fisso sociale,
le esternalità assicurate dal sistema finanziario e le opportunità
generate dall’ambiente istituzionale amico del mercato”. Insomma, non si
tratta solo di garantire la crescita della ricchezza materiale della
popolazione: bisogna creare le condizioni perché questo processo di
espansione del benessere si consolidi su se stesso e si alimenti in una
spirale virtuosa: che possa nutrirsi della coesione sociale delle
comunità locali e della fiducia che esse nutrono in loro stesse.
11 ottobre 2002
c.vivenzio@libero.it
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