Piccoli populisti non crescono
di Pierluigi Mennitti


Accadeva in Europa solo pochi mesi fa. In Francia il voto di protesta gonfiava la lista e la voce del Front national di Jean-Marie Le Pen, sospingendolo per la prima volta nella sua storia al ballottaggio presidenziale contro il candidato del centrodestra. In Olanda l'assassinio ad opera di un militante verde di un dandy populista, Pim Fortuyn, scatenava una psicosi di emozione collettiva che travolse le consuetudini politiche del paese e proiettò il suo piccolo partito al secondo posto nelle elezioni generali. Il dibattito si scatenò sulla stampa dell'intero continente, incuriosito o spaventato da questo doppio shock elettorale che coinvolgeva due paesi dalla storia e dal peso politico assai diversi eppure accomunati da un unico problema, divenuto all'improvviso prioritario nella vita quotidiana dei cittadini: la convivenza con le comunità straniere.

I due personaggi che interpretavano politicamente questo sentimento di sottile angoscia, Le Pen e Fortuyn, erano tra di loro diversissimi. Un vecchio lupo della politica il primo, interprete della tradizione ultranazionalista francese, da anni in campo con i temi della difesa dell'identità nazionale imbevuti in forti dosi di xenofobia. Un raffinato dandy il secondo, omosessuale dichiarato, affascinante affabulatore e amante dell'arte, entrato in politica per caso e poi alla politica e alla vita strappato dal fanatismo di un altro pericoloso integralismo, quello ambientalista. Se si fossero potuti incontrare, Le Pen e Fortuyn, si sarebbero di certo detestati. Ma non s'incontrarono mai. Le Pen fu ridimensionato al ballottaggio da Jacques Chirac, abile a giocare a destra la carta della difesa democratica contro il pericolo neo-fascista. La lista di Fortuyn, invece, orfana del suo leader ma ricca di voti, vinse le elezioni ed entrò trionfalmente al governo con i suoi uomini poco preparati e per nulla carismatici.

A quattro mesi di distanza le esperienze politiche che sfruttarono quei sentimenti, e che per semplificazione abbiamo chiamato con il nome di populismo, sembrano mostrare la corda. In Olanda gli esponenti della lista Pim Fortuyn non si segnalano per un particolare nuovo corso impresso alla politica nazionale e sembrano finiti nel dimenticatoio, divisi da contrasti interni e depotenziati dalle difficoltà concrete e quotidiane della gestione della cosa pubblica. In Francia l'azione più decisa del governo Raffarin, soprattutto sul tema dell'immigrazione clandestina, ha scippato al Front national uno dei cavalli di battaglia della sua politica. In più Chirac è stato tatticamente abile a rafforzare la posizione politica del suo partito restituendogli un ruolo centrale a difesa da un lato dei sentimenti di law and order delle borghesie urbane francesi, dall'altro di quelli repubblicani e democratici delle elites progressiste. Poi è giunta la crisi interna a un altro partito simbolo del populismo anni Novanta, il Partito liberal-nazionale austriaco che non ha retto alla diarchia tra la "governativa" Susanne Riess-Passer e il "movimentista" Jörg Haider, il leader carismatico che pensava di condizionare la politica austriaca senza entrare nel governo. La crisi di Haider ha coinvolto anche il governo di centrodestra con i popolari, decretando la fine di un'esperienza che forse l'Europa avrebbe fatto bene ad osservare con minore drammaticità.

Oggi che l'attenzione dei media pare sopita, Ideazione.com ritorna su questi temi, utilizzando parte dell'approfondimento realizzato sul numero scorso della rivista bimestrale. Un contributo di studio importante sul delicato e oscuro rapporto che lega l'angoscia alla politica, che mettiamo a disposizione dei lettori su Internet e che rappresenta il primo, serio tentativo di studio di un fenomeno sociale e politico che accompagnerà l'Europa nel prossimo decennio. Immigrazione, convivenza tra popoli diversi, accrescimento culturale, capacità di integrazione e saturazione, perdita di identità, sentimenti di insicurezza. Ampio e diversissimo è il ventaglio dei sentimenti che agitano i popoli europei. Osservarli, raccontarli e discuterli è il compito dei giornali liberi.

27 settembre 2002

pmennitti@ideazione.com